Non ci sarà nessun governo a fargli la “ola”. Cosa che a Sergio Marchionne, il manager globale, la cui tolda di comando operativa è a Detroit mentre la testa finanziaria è a Londra – e quella fiscale in Olanda – interessa fino a un certo punto.
L’Investor Day previsto il 1º giugno in Italia, atteso soprattutto per capire se ci saranno investimenti significativi, quanti e dove, resta infatti un evento globale. Perché se c’è un risultato che in questi quasi dieci anni di avventura italo-americana Marchionne ha conseguito, è stato quello di fare della vecchia Fiat un marchio internazionale.
Il fatturato globale
Le consegne globali della Fca, la Fiat Chrysler Automobiles, lo scorso anno sono state di 4,7 milioni di vetture. E per circa la metà, 2,4 milioni, nel mercato nordamericano; l’Emea, cioè l’Europa e il Medioriente, tra cui l’Italia, vede 1,365 milioni di vetture, meno del 30% del totale. In America Latina ne sono state vendute 521 mila e il resto tra l’Asia e le vetture prodotte in joint-venture che rappresentano una quota rilevante (317 mila vendute nel 2017 contro le 136 mila del 2015). Se c’è qualcosa che non torna, però, sono proprio i confronti con quanto annunciato nel 2014 quando fu illustrato, con grande risalto e numero di slide, il piano 2014-2018. Rivediamolo: Marchionne promise di passare dai 4,2 milioni di auto prodotte allora tra Fiat e Chrysler a 6,3 milioni nel 2018 che sarebbero salite a 7 milioni con le joint venture. I risultati sarebbero stati il frutto di 48 miliardi di investimenti di cui 5 miliardi per rinvigorire e rilanciare il marchio Alfa Romeo su cui allora si scommetteva molto. Il progetto prevedeva, infatti, la creazione di otto nuovi modelli e un obiettivo di vendita nel 2018 di 400 mila auto contro le 80 mila circa di allora. L’enfasi sull’Alfa non nascondeva però la vera protagonista del Presentation Day di Detroit del 2014, la Jeep per la quale l’obiettivo dichiarato era di venderne almeno 1,9 milioni nel 2018 dalle 732 mila del 2013. La Fiat sarebbe dovuta salire nel 2018 a 1,9 milioni, rispetto all’1,5 milioni di allora, raddoppiando le vendite nell’area Nafta, passando da 70 a 300 mila consegne nell’area asiatica, rimanendo stabile nell’area Emea e restare “al top” in Brasile, come disse allora Marchionne.
Delusione Alfa
Vediamo i dati del 2017. Il marchio Jeep, pure celebrato in tutto il mondo, difficilmente centrerà l’obiettivo dell’1,9 milioni di vetture vendute se è vero, come rivelato lo scorso anno da Automotive News, che nel 2017 si è attestato a 1.388.208 vetture in flessione rispetto al 1.401.321 vetture registrate nel 2016. Per arrivare all’obiettivo mancano poco più di 500 mila unità e le migliori previsioni parlano di un risultato, a fine 2018, che si attesterà sotto a 1,7 milioni.
Per quanto riguarda l’America Latina le vendite sono aumentate rispetto al 2016, da 473 mila a 513 mila, ma restano ancora al di sotto delle 584 mila del 2015 e soprattutto non è stato ottenuto il primo posto in Brasile conquistato, con il 18,1% del mercato, da General Motors. Fca è seconda al 17,5% rispetto al 19,5% del 2015 e al 18,4% del 2016.
America Latina ed Europa costituiscono il cuore del mercato targato Fiat la cui produzione non riesce ad andare oltre 1,5 milioni di vetture contro l’1,9 milioni promesso nel 2014. Dei 17 nuovi modelli annunciati nel 2014 ne sono stati realizzati 9, la maggior parte dei quali in Brasile.
Il marchio che però rappresenta un problema più grande, per le sue implicazioni strategiche, è quello dell’Alfa. Sarebbe dovuto arrivare a vendere 400 mila unità nel 2018 rispetto alle 80 mila del 2014 con la creazione di ben otto nuovi modelli. I modelli realizzati sono stati solo due, Stelvio e Giulia e, secondo i ricercatori di mercato di Jato Dynamics, le vendite globali del Biscione si sono attestate a 118 mila nel 2017 mentre la produzione, secondo i dati della Fim-Cisl, è arrivata a 150.722 vetture.
È, infine, messa male la Chrysler che, dei cinque modelli previsti entro il 2018, ne ha realizzati solo due e che invece delle 800 mila unità vendute ha raggiunto l’obiettivo abbastanza modesto di 200 mila auto.
Come si riflette tutto questo in Italia? Dal 2013 al 2018, la produzione complessiva è aumentata da 595.000 unità a oltre un milione di vetture, comprendendo anche i profittevoli Ducato della Fiat Sevel. Il piano industriale prevedeva una produzione di 1,4 milioni che resta un obiettivo lontano. E che infatti si riflette sull’occupazione. È la stessa Fim-Cisl, sindacato firmatario del contratto separato del 2010 e sostenitore del piano di rilancio di Marchionne, a ribadire che per il 2018 “l’obiettivo di Fca della piena occupazione ‘senza uso di ammortizzatori’ di tutti gli oltre 66.200 lavoratori, non verrà raggiunto”.
Andando negli stabilimenti storici, invece, la situazione vede ancora un susseguirsi di Cassa integrazione, Contratti di solidarietà e ferie collettive per affrontare i picchi negativi di mercato.
La Fiom, nella sua ultima recente pubblicazione Imec, guarda con molto allarme la situazione di Mirafiori, di Pomigliano, della Maserati di Modena e invita a guardare con attenzione quello che potrà accadere a Melfi, in Basilicata. “A Torino – scrive la Fiom – praticamente tutte le realtà del gruppo Fca stanno utilizzando gli ammortizzatori sociali” compresi “gli Enti Centrali”, quindi anche la progettazione e il design sono in crisi. Si parla di circa 6.000 addetti.
Ancora cassa
A Pomigliano va abbastanza bene la Panda, con oltre 200 mila vetture prodotte, in flessione nel 2018. Senza una seconda linea, però, con un nuovo modello sarà difficile avere tutti al lavoro i 4.800 addetti che oggi si dividono il Contratto di solidarietà. A Melfi sono in 1.000 gli addetti sulla Fiat Punto che sta per uscire di produzione e non si sa ancora come saranno impiegati. Molta preoccupazione, infine a Modena, dove i 200 lavoratori, di cui 140 in solidarietà, vivono l’incertezza su eventuali nuovi modelli Alfa Romeo.
Come ribadisce la Fim, con la flessione delle vendite del 2018, e la riduzione della produzione, il ricorso agli ammortizzatori sociali è passato dal 5% della forza lavoro nel 2017 all’8%. Molto lontano dal 27% del 2013 ma comunque al di sotto della piena occupazione. “Ci avevano promesso salari tedeschi e lavoro per tutti con il nuovo contratto e invece siamo ancora in attesa”, dice Michele De Palma responsabile Auto della Fiom-Cgil. Della flessione produttiva si dice preoccupato il responsabile Auto della Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, che assicura che “per noi l’obiettivo principale resta la piena occupazione e per quello continueremo a batterci con tutte le nostre energie”.
Se i risultati non sono ancora stati raggiunti, però, è proprio per la strategia finora utilizzata. Gli aumenti di redditività dipendono dall’aumento di gamma delle produzioni, ma, soprattutto, Fca ha perseguito una rigida politica di contenimento dei costi e ha lavorato con meticolosità a ridurre il suo debito che è passato da circa 33 miliardi del 2013 ai 17,9 del 2017. La finanza si è mangiata un po’ di produzione. E oggi, come nel 2014, la soglia magica dei 6 milioni di vetture vendute non è raggiunta, non è chiaro quali modelli saranno prodotti in Italia, non è chiaro se l’auto ibrida ed elettrica rappresenta il futuro o se invece si cercherà di allargare il mercato in Cina e in India.
Le indiscrezioni pubblicate due settimane fa da Bloomberg circa l’abbandono del “mass-market” in Italia, quindi la storica produzione di Panda (in Polonia?) sostituite dalla “fascia Premium”, Maserati e Alfa, si inscrivono in questo quadro. Il 1º giugno ci sarà l’Investor Day e tutti si aspettano finalmente che di investimenti si parli e non più soltanto di strategie finanziarie.