Matteo Salvini è stato spesso preso in giro per non aver mai lavorato. Un tribunale della Repubblica ha stabilito che non è diffamatorio definirlo un politico di professione. Il leader della Lega è stato per la prima volta eletto in consiglio comunale a Milano nel 1993, quando aveva 19 anni, e da allora è saltabeccato in Italia e in Europa da un’assemblea all’altra senza mai brillare per presenzialismo. In molti definiscono razziste le sue frasi e sue prese di posizione in materia di immigrazione. L’appoggio palese a Viktor Orban, il primo ministro ungherese, peraltro aderente al Partito popolare europeo, divenuto tristemente celebre per aver costruito muraglie di filo spinato per impedire il transito non ai migranti, ma ai profughi, gli ha giustamente tirato addosso critiche su critiche.
Ma al di là dell’opinione che ciascun lettore può avere su Salvini, un fatto va onestamente ammesso. Il leader della Lega esce da questi mesi di post voto con addosso la casacca di unico fuoriclasse presente sulla scena politica italiana. Uno dopo l’altro ha messo nell’angolo alleati, avversari e persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Forte del suo 17 per cento dei consensi, conquistati grazie all’idea di trasformare la Lega da partito regionale finto secessionista a forza dichiaratamente nazionalista e sovranista, Salvini ha condotto le danze del post voto fino a mettersi in una posizione di win-win. O partiva l’esecutivo gialloverde con Paolo Savona ministro e Lega piazzata in molti dicasteri chiave, o si andava a nuove elezioni con il Carroccio ancora più gonfio di consensi.
Se si torna con la moviola della memoria agli accadimenti di queste settimane ci si può rendere conto di come Salvini abbia raggiunto questo risultato senza che nessuno dei suoi compagni di strada possa accusarlo di scorrettezze o incoerenza. Il suo peccato (ma in politica questa è una virtù) è semmai l’astuzia con cui ha saputo approfittare dei loro punti deboli. Così Salvini ha provato a governare con Luigi Di Maio senza rompere con Fratelli d’Italia e Forza Italia. I due partiti erano terrorizzati dal voto anticipato. Sondaggi alla mano temevano di essere fagocitati dalla Lega. Pensavano che i gialloverdi dopo pochi mesi, a causa delle tante promesse e aspettative, si sarebbero andati a schiantare perdendo consensi. Per questo non hanno denunciato l’alleanza elettorale pur preannunciando un voto contrario all’ipotetico governo.
Allo stesso modo, Salvini ha procrastinato il vero inizio delle trattative con i penstastellati in attesa di elezioni regionali destinate a rendere psicologicamente più fragili Di Maio e i suoi. Poi sedendosi al tavolo con i cinquestelle ha fatto perdere loro appeal presso molti elettori provenienti da sinistra e per togliere a Di Maio quell’aurea di leader radicale, ma moderato, che tanto faticosamente si era riuscito a costruire durante la campagna elettorale.
L’apoteosi è arrivata con il veto di Mattarella su Savona. I cinquestelle si sono ritrovati a proporre la messa in stato di accusa del Presidente assieme alla destra, mentre Salvini, dopo le bordate di rito, chiedeva solo nuove elezioni e ieri diceva esplicitamente: “Chi insulta e minaccia Mattarella non fa parte del futuro del mio Paese. Ha sbagliato, ma non chiedo l’impeachment”. Governare, certo è un’altra storia (e forse la giudicheremo presto), ma per ora va detto che in fatto di strategia, tattica e marketing, Salvini si dimostra un vero professionista della politica forgiato da 25 anni di esperienza. Tutti gli altri no.