C’erano una volta le elezioni del 4 marzo. I contendenti erano agguerriti, ci si giocava il tutto per tutto. Alcuni di loro avevano preparato una pozione: una legge elettorale che consentisse di far governare gli “amici” e, in caso di sconfitta, non far governare i “nemici”.
E stallo fu: né il primo partito, né la prima coalizione avevano la maggioranza. Che fare? I giorni passavano tra consultazioni e mandati esplorativi, veti e controveti, mentre il capo dello Stato metteva i suoi paletti: nessun pre-incarico ai due vincitori, solo a chi mi porterà una maggioranza, e occhio alla legge di Bilancio e all’aumento dell’Iva.
Prova così, prova cosà, a forza di no i due furono costretti a dirsi sì. Ma toccava mettere a punto un contratto di governo, sottoporlo ai militanti, creare la squadra e fare un passo indietro nella leadership. Ah ah, non ce la faranno mai – godevano e gufavano gli esclusi – e noi guadagneremo dal loro insuccesso. Invece, com’è, come non è, Luigi e Matteo si misero attorno a un tavolo: accordo sui temi, tra gli iscritti, sui ministri e pure sul premier terzo. Il prof. Conte (un classico delle favole) fu sottoposto a un check-up completo, in Italia e all’estero: curriculum, ipoteche, consulenze legali, famiglia, fede religiosa, eh ma non è eletto in Parlamento… mancava solo l’etilometro per il tassista che lo aveva portato al Quirinale. Ma, a parte qualche peccato veniale – quasi indegno della media della nostra classe dirigente – resistette. Anzi, presentandosi garbato ma fermo, come “avvocato difensore del popolo italiano”, e incontrando i risparmiatori truffati, iniziò a far breccia tra gli italiani che non lo conoscevano. E pure tra gli esclusi, che cominciarono a preoccuparsi: non è che questi ce la fanno davvero? Tocca intervenire.
Ecco il diluvio (altro classico): lo spread che sale, la borsa che cala, stampa e regnanti stranieri che ci danno dei pezzenti, se all’Economia va il prof. Savona l’Italia uscirà dall’euro, e come si fa coi mercati, le agenzie di rating, Juncker e la Merkel? No, non vogliamo uscire dall’euro, solo “un’Europa diversa, più forte, ma più equa”, prova a dire Savona. Niente: il capo dello Stato dice no – perché è nelle sue prerogative (non è un veto politico?), si deve tutelare il risparmio (e i decreti salva banche e il bail-in anticipato?), potevano proporre altri nomi (su Bagnai e Siri mente Luigi?) – e il castello crolla. Lo scettro passa all’affidabile ex FMI e spending review Cottarelli: pure lui non eletto in Parlamento, ma senza maggioranza non può fare nulla, né legge di Bilancio, né disinnescare l’aumento dell’Iva, né tranquillizzare il Dio mercato, né fermare i “populisti” (anzi). Niente incantesimi.
E con lo spread che sale e la Borsa che cala – ma tanto la colpa di tutto è di Luigi e Matteo, anzi più di Luigi, perché i veri “barbari” sono i 5 Stelle, e poi non è che lo scaltro Matteo ha fatto il doppio gioco? – ci dirigiamo (forse) spompati verso nuove urne.
C’erano una volta le elezioni del 4 marzo. Ma si sa, “ogni favola è un gioco”, e tocca tornare alla realtà, come ci ricorda dalla sua fortezza il commissario Ue (tedesco) Oettinger: i mercati indicheranno agli italiani come votare. Già, i mercati che in questi anni ci hanno fatto tanto ricchi, ci faranno vivere tutti felici e contenti.