La crisi più pazza, e informale, del mondo. E un’altra giornata surreale da raccontare. Altro che barbari. Ché al Colle si è visto un saliscendi pazzo e marziano, dal punto di vista istituzionale, mai accaduto in sette decenni di vita repubblicana.
Ancor prima delle nove di mattina, a salire i vetusti gradini del Quirinale, zaino alla mano, è il neutrale Carlo Cottarelli, il premier incaricato ridotto a Comparsa di un nuovo, inatteso stallo dopo il martedì altrettanto pazzo della fuga dal retro. E nel colloquio, ovviamente informale, con Sergio Mattarella finalmente prende forma dal caos dell’altro giorno l’unica trattativa in ballo: la resurrezione del governo Conte con il famigerato Paolo Savona, il presunto anti-euro caro alla Lega, sterilizzato in un ministero diverso dall’Economia.
La Comparsa Cottarelli prende atto, si congeda, torna nel suo ufficio alla Camera e manda il primo messaggio per conto del Colle: “Sono emerse nuove possibilità per un governo politico”.
La trattativa è ufficialmente riaperta. E rispetto alla fase precedente, dal 7 maggio a domenica scorsa, cambiano gli equilibri della “mediazione”, per usare un eufemismo non marziano.
In pratica, il capo politico del M5S, l’ineffabile Luigi Di Maio, il Grande Ingenuo, comincia a giocare di sponda con il capo dello Stato, anziché continuare a farsi seviziare politicamente da Matteo Salvini, il Baro Pigliatutto della Lega.
È la vera svolta della giornata.
Non a caso, all’ora di pranzo l’Ingenuo grillino e il Baro leghista danno vita alle schermaglie sull’atteggiamento da tenere verso un eventuale esecutivo Cottarelli. Le posizioni sono opposte. Salvini, pur di ottenere le elezioni a settembre se non a ottobre, è disposto a dare la “non sfiducia” tecnica – espressione in voga ai tempi del compromesso storico – per dare una morte dolce, non umiliante, al governo del presidente, consentendo così la partenza dell’esecutivo.
Di Maio va alla guerra: “O governo politico oppure si vota il 29 luglio”. E in Parlamento un no grillino a Cottarelli renderebbe vano il tentativo di farlo partire con le astensioni di tutti.
Nel pomeriggio, il pazzo saliscendi raddoppia.
La svolta dell’asse tra Mattarella e M5S s’incarna nell’apparizione del Grande Ingenuo al Quirinale. Alle cinque della sera Di Maio vede Mattarella. Dall’impeachment alla pace nel giro di poche ore.
Una pace “civile, non cordiale”, però, riferiscono dal Colle. Sì, è stato il presidente della Repubblica a voler riaprire i canali con i pentastellati martedì sera, ma non dimentica, Mattarella, che Di Maio ha chiesto per lui l’ergastolo, la pena massima prevista per l’accusa di alto tradimento. I due si stringono la mano, il Grande Ingenuo chiede scusa e poi si va al sodo. La croce Savona, il macigno sul sentiero gialloverde, l’economista ottuagenario della grande crisi di domenica sera.
Stavolta la fatidica sponda c’è. Il Colle salva la faccia con il modello Previti (che nel governo Berlusconi andò alla Difesa e non alla Giustizia) e il capo grillino offre il suo consenso. Di Maio va via e ritorna la Comparsa Cottarelli per un ulteriore aggiornamento informale. All’uscita è lo stesso Quirinale che fa trapelare ufficiosamente: “Non si forzano i tempi per un eventuale governo politico”.
Inizia il pressing estremo sul Baro leghista, in trasferta elettorale in Liguria. La Lega è pure costretta a smentire un’imminente visita, ovviamente informale, di Giancarlo Giorgetti, lo sherpa salviniano, al Colle. Alcune fonti autorevoli riferiscono che tra i due è previsto soltanto un “contatto telefonico”.
Indi, Di Maio fa la mossa e chiede a Savona il passo di lato per un altro ministero. Il capo dello Stato fa filtrare la sua benedizione: “Il Colle valuta con grande attenzione Savona ministro ma non al Mef”.
Le carte sono scoperte. Tocca a Salvini il Baro rispondere una volta per tutte. In serata, al Quirinale, fanno pronostici per una svolta nella notte.
In ogni caso, il tempo scade stasera. “Se poi verranno in ginocchio a chiedere un altro giorno, valuteremo”.
L’obiettivo di Mattarella è quello di varare un governo entro sabato. Il Due Giugno. La Festa della Repubblica. Sarebbe un incipit suggestivo e simbolico a quasi novanta giorni dalle elezioni.
E se il leader leghista dirà di no? La minaccia è stata già recapitata. Il tempo per votare il 29 luglio non c’è più. Ma il 5 agosto sì. L’incubo peggiore per lo spregiudicato padano. Dargli le elezioni in autunno sarebbe un’altra sconfitta per Mattarella e Di Maio, entrambi caduti nella sua trappola di Baro. Ché in fondo il sospetto è che Salvini non voglia fare il governo. Basta aspettare.