Napoli

Napoli, la sede de Il Mattino diventerà un outlet

Ex direttore - Dietro il licenziamento di Barbano, scontri sulla scelta di spostare i cronisti

3 Giugno 2018

Una delle ragioni del licenziamento in tronco di Alessandro Barbano dalla direzione de Il Mattino di Napoli, edito come Il Messaggero dal costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone, è in un documento che Il Fatto è in grado di rivelare. Si tratta della disposizione dirigenziale 297 del 9 marzo 2018 del Comune di Napoli. Un “permesso di costruire per un intervento di ristrutturazione edilizia” che renderà il palazzo di quattro piani di via Chiatamone 65, un immobile elegante nel salotto buono di Chiaia, il punto di riferimento di un piccolo centro commerciale con parcheggio interrato.

Un’operazione immobiliare lecita e autorizzata. Ma che finirà per minare l’identità di un giornale che è ospitato lì da 55 anni, dal 1962, e che faticosamente provava a mantenere una leadership nel dibattito nazionale sulle questioni del Mezzogiorno.

Per effetto di questa licenza, Il Mattino è destinato a essere “deportato” al Centro Direzionale, dove si trova anche il Palazzo di Giustizia, ma che di sera si svuota. E così finirà un pezzo di storia di Napoli, nel silenzio generale della città. Barbano si era opposto, a questo come agli altri tagli e impoverimenti annunciati dall’editore, determinato a trasformare Il Mattino in una filiale del Messaggero. Dall’altro ieri non rappresenta più un ostacolo.

Nel permesso di costruire, rilasciato dopo il versamento di quasi 114 mila euro di oneri concessori, che impone di iniziare i lavori entro un anno, si legge che “la ristrutturazione edilizia del piano terra ed ammezzato (attualmente ad uso produttivo) in una unità immobiliare adibita a commercio al minuto e contestuale realizzazione di autorimessa pertinenziale al piano interrato a servizio dell’attività commerciale. (…) I piani superiori dell’edificio (1°, 2° e 3°) destinati alle attività di redazione ed organizzazione gestionale del quotidiano Il Mattino saranno stralciati dalla parte commerciale oggetto d’intervento. Detto intervento, comporta anche il frazionamento della porzione oggetto d’intervento dal complesso dell’edificio”.

Il richiedente è Marco Torosantucci, rappresentante legale di due finanziarie che fanno parte del Cda di Caltagirone spa. Va ricordato infatti che il palazzo di via Chiatamone, che Caltagirone rilevò nel 1997 dal Banco di Napoli, è confluito in una delle società satelliti del gruppo.

La proprietà dell’edificio non è più nei bilanci del Mattino, relativi a un’altra società che contiene solo la testata e i 52 giornalisti sopravvissuti ai tagli feroci degli ultimi anni, e che lamenta passività di 3 milioni di euro. La sede della redazione rappresenta un costo iscritto a bilancio del quotidiano. Un fitto di 600 mila euro annui per uffici ospitati solo al terzo piano. Gli altri si sono svuotati nel tempo. La società che possiede il palazzo di via Chiatamone è la stessa proprietaria della Torre Francesco al Centro Direzionale.

Il Mattino andrà a occupare entro ottobre gli ultimi due piani, la vecchia sede dell’Agcom lasciata sfitta. I costi si ridurrebbero a 250 mila euro. Ma sono tutti passaggi di denaro all’interno dello stesso gruppo. E intanto il più appetitoso immobile di via Chiatamone si libererà del tutto.

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