Per il cattolico Luigi Di Maio, il settimo giorno avrebbe dovuto essere quello del riposo. E invece, al capo politico dei Cinque Stelle, è toccato chiudere la prima settimana da ministro con una fatica edipica. Era andato a dormire con un video in cui “papà” Beppe Grillo sognava praterie al posto dell’Ilva, al risveglio ha dovuto “ucciderlo” dai microfoni di Radio1: “Tutto quello che viene detto da Grillo o da altri, sono opinioni personali. Io non prendo decisioni finché non incontro le parti. Poi decideremo e se serve valuteremo anche la continuità”.
Che ci fosse il rischio di uno scollamento – peraltro già certificato dalla nascita del nuovo blog – tra le “utopie” del fondatore e il realismo governativo, era nell’aria. Epperò la divergenza è tanto più pesante perchè arriva su una delle primissime urgenze che il ministro Di Maio si troverà ad affrontare. Il travaglio dell’acciaieria di Taranto – commissariata dal 2012, in amministrazione straordinaria dal 2015 – porta la scadenza del 1 luglio, quando la cordata di ArcelorMittal prenderà possesso degli stabilimenti. L’accordo con i sindacati ancora non c’è, la risoluzione del nodo tra salvaguardia dell’occupazione e tutela ambientale neanche e i nuovi arrivati allo Sviluppo Economico si stanno rimettendo a studiare le carte: Di Maio, lo ha ripetuto ieri, deciderà il da farsi solo dopo aver incontrato le parti coinvolte nella trattativa. Difficile che il ministro riesca ad andare a Taranto a breve (gliel’ha chiesto il sindaco della città pugliese), visto che sarà impegnato alla Camera con la discussione di due decreti e due informative. Più probabile che convochi tutti al Mise, anche se l’incontro non è ancora in agenda.
Sull’esito del colloquio, però, qualcosa è già scritto, nella testa del leader M5S e dei suoi collaboratori: primo, non si può in venti giorni far saltare tutto quello che è stato fatto finora; secondo, se l’accordo non regge, il 1 luglio i 13.800 lavoratori Ilva si ritroveranno davanti al portone del ministero, non proprio un bel biglietto da visita per il governo del cambiamento che ha giurato un mese prima. Così, con le mani piuttosto legate, Di Maio si accinge a “valutare la continuità”, provando a inserire qualche garanzia in più sul fronte ambientale: avrebbe voluto andasse diversamente, ma sa che le condizioni di partenza non si possono cambiare senza rischiare pesanti contraccolpi.
Già l’altro ieri, in una intervista a Il Mattino, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa era stato piuttosto chiaro sull’ipotesi di soluzioni alternative: “Il soggetto acquirente si è impegnato ad osservare tutte le prescrizioni e gli steccati ambientali imposti dall’Ue e dal contratto. Sono questi gli aspetti su cui spetta al ministro dell’Ambiente vigilare. Le scelte complessive sono di competenza di altri”. Riecco Di Maio, quindi – che dalle poltrone del ministero dello Sviluppo Economico e del Lavoro – dovrà sbrogliare la grana più grossa. “Decido io”, ha ripetuto ieri. Lanciando un messaggio anche al Movimento. Il contratto di governo siglato con la Lega prevede “un programma di riconversione economica basato sulla progressiva chiusura delle fonti inquinanti, per le quali è necessario provvedere alla bonifica, sullo sviluppo della Green Economy e delle energie rinnovabili e sull’economia circolare”. Propositi di lunghissimo respiro, che ognuno interpreta un po’ come gli pare. Il deputato “consigliere” economico di Di Maio, Lorenzo Fioramonti, continua a parlare di “fallimento industriale e finanziario”, l’operaio Ilva Massimo Battista (oggi consigliere comunale M5S a Taranto) continua la sua battaglia contro Mittal e gli operai “che ancora credono che quel rottame vecchio sia il futuro”. L’eurodeputata grillina Rosa D’Amato ha lasciato l’ultimo tavolo con i sindacati, venti giorni fa, al grido di “Programmiamo la chiusura. L’obiettivo era e resta questo!”.