Alla fine il problema di Luca Parnasi lo racconta in una intercettazione suo cugino Giulio Mangosi, uno dei suoi collaboratori: “È rimasto troppo Anni Ottanta”. In pratica, è il parere di quello che il premier Conte direbbe “congiunto”, vuol lavorare mettendosi nella manica i politici: “Io spenderò qualche soldo sulle elezioni – spiegava lui stesso prima delle Politiche – Poi con Gianluca vedremo come vanno girati ufficialmente, coi partiti politici eccetera. È importante perché in questo momento noi ci giochiamo una fetta di credibilità per il futuro ed è un investimento che io devo fare… Molto moderato rispetto a quanto facevo in passato, quando ho speso cifre che manco te lo racconto”.
E così un assegno qui, un assegno lì, il rampollo classe 1977 dello stagnaro comunista Sandro Parnasi, creatore di un impero oggi in mano ai creditori, è arrivato pure a dare 250 mila euro alla Lega: “Fa pure figo in questo momento che qualcuno dica da sinistra che Parnasi è vicino alla Lega, perché è il mondo ormai che conta”, spiega Luca all’eterno Luigi Bisignani, giovane piduista e poi nel cuore andreottiano del berlusconismo (leggi Gianni Letta). Cioè, “ti pensano vicino a Bonifazi (tesoriere del Pd, ndr) e col cazzo invece: io sono comunque uno che apre”.
È uno che apre il giovane Parnasi – da ieri in carcere nell’ambito dell’inchiesta sullo stadio della Roma – ma, per la verità, chiude pure: è successo alla holding Parsitalia messa su da papà Sandro, uno dei principi rossi dei palazzinari romani (l’altro è Alfio “calce e martello” Marchini). Il rampollo non ama quell’antico termine che rimanda al Gadda der palazzo de li pescicani, ma neanche il più moderno immobiliarista: “Sviluppatore”, è la parola che preferisce. Prende il terreno, ottiene i permessi, mette assieme i soci, lottizza e rivende: sviluppa insomma. Il centro commerciale Euroma 2, l’Ecovillage di Marino con Idea Fimit del gruppo De Agostini, gli appartamenti nell’ex rimessa Atac del Tiburtino, il polo commerciale in zona Pescaccio.
Il gioco sembrava andargli bene, ma poi arriva la più grave crisi del dopoguerra e il settore immobiliare è quello che l’ha pagata di più: il gioco dello sviluppatore, specie se servono i soldi pubblici, si ferma e Parsitalia si ritrova con un pacco di debiti (Unicredit e Bnl su tutti) e un’unica speranza, lo Stadio della Roma.
La sua fortuna è che con la politica, magari in modo un po’ troppo Anni Ottanta, i rapporti continuano a funzionare. Nel dicembre 2012, per dire, quando già la situazione s’è fatta spiacevole, piazza il colpaccio: Nicola Zingaretti, allora presidente della quasi sciolta Provincia di Roma, decide di acquistare uno dei grattacieli dell’Eur per portarci dipendenti e consiglio. Il prezzo – 263 milioni di euro – fu giudicato eccessivo dagli esperti, ma la Corte dei Conti alla fine ha “assolto” Zingaretti.
Come che sia, quella vendita regala un po’ d’aria a Parsitalia, che si copre dal lato Bnl. La situazione, però, non migliora: i debiti aumentano, il fatturato no.
Unicredit (e in misura minore Mps e altri) si ritrovano circa 700 milioni di “sofferenze” targate Parnasi e alla fine cedono: dopo l’estate 2016 Parsitalia viene svuotata e i suoi progetti più promettenti finiscono in un veicolo chiamato Unicredit Capital Dev, che ora dovrà finire quel che c’è da finire e vendere quel che c’è da vendere per coprire i buchi. In cambio il debito di Parsitalia scende a 130 milioni e lo sviluppatore ha ancora in mano la gallina dalle uova d’oro: lo Stadio della Roma da costruire, in joint venture con una società del presidente giallorosso James Pallotta, sui suoi terreni di Tor di Valle attraverso la controllata Eurnova (la scelta della zona risale ai tempi di Ignazio Marino).
Anche il grazioso aiuto di Unicredit però non basta: “Tu lo sai – gli dice intercettato il suo collaboratore Gianluca Talone – stanno finendo i soldi dappertutto”. E così nell’estate 2017, dopo 60 anni di attività, la holding Parsitalia creata dallo stagnaro Sandro (morto un anno prima) va in liquidazione. Al buon Luca rimane comunque in mano Eurnova e il miraggio Stadio della Roma, anche se nel frattempo ha dovuto chiedere alla più solida Pizzarotti Costruzioni di unirsi alla partita.
E siamo all’oggi, alle mille accortezze così anni 80 con cui Parnasi tentava di garantirsi l’affare Stadio e, per quella via, di rimettere le mani sulle sue attività in mano a Capital Dev: è il suo vero obiettivo, la sua ossessione, ne parla col nuovo sceriffo grillino in città, Luca Lanzalone. Per tornare sviluppatore aveva già deciso, scrive il Gip, di vendere pure il terreno di Tor di Valle per 200 milioni a Capital Dea del gruppo De Agostini (“ma solo se ci riprendiamo l’Ecovillage”). Pure stavolta, pare, la volta buona sarà la prossima: ieri l’hanno arrestato a Milano.