Gentile James Pallotta. L’avevamo avvertita in tempo. Esattamente un anno e mezzo fa, domenica 19 febbraio 2017, su questo giornale, io umile tifoso della squadra da lei presieduta e posseduta scrivevo un pezzo dal titolo: “Stadio della Roma, le cinque regolette per (non) farlo”. Non eravamo preveggenti e neppure jettatori ma, semplicemente, in quanto cittadini dell’Urbe esperti (più di lei) sugli usi e costumi di questa meravigliosa città.
Prendemmo spunto da una notizia pubblicata con grande rilievo dal Messaggero (quotidiano molto attento alle vicende dello stadio) con il seguente titolo: “Altolà dei Beni culturali, vincoli a Tor di Valle. Vietato costruire edifici più alti delle tribune”. E immaginammo un possibile sequel di una pellicola cara a tutti noi: Febbre da cavallo. Questo. Il glorioso ippodromo teatro delle gesta di Soldatino, da anni abbandonato al proprio destino nel più completo degrado, in una landa desolata luogo di discariche e prostituzione, viene sottratto alle mire di ignobili speculatori americani e alle loro arroganti cattedrali sportive. Scena finale: mentre gli amerikani se ne tornano a Boston con le pive nel sacco, sulla pista i nostri eroi festeggiano il trionfo del bene con spassosissime mandrakate.
Quindi, come segno di stima nei suoi confronti, elencavamo un paio di semplici regolette per dissuaderla da investire tempo, pazienza e capitali in un’impresa che ritenevamo senza speranza. Primo: a Roma è meglio non mettersi mai contro il sovrano assoluto dei costruttori (e di molto altro ancora) Francesco Gaetano Caltagirone, edificatore di immensi quartieri ma soprattutto protagonista di strenue battaglie ambientaliste per la difesa del territorio contro gli invasori Usa (vedi il Messaggero, di sua proprietà). Secondo: se anche Pallotta&C. fossero riusciti a superare l’ostacolo dei Beni culturali su Tor di Valle, avrebbero poi dovuto affrontare le forche caudine di una miriade di enti e associazioni preposti alla giusta tutela di questo o di quello. Senza contare le inevitabili denunce. Infine, un consiglio affettuoso al dominus giallorosso: ’a James stacce (in vernacolo: fattene una ragione) che t’è andata bene così.
Non prevedemmo tuttavia due importanti novità. Che, successivamente, la giunta Raggi avrebbe detto sì allo stadio. Che la Procura di Roma avrebbe portato alla luce l’esistenza di una “cupola Parnasi” (costruttore e socio nell’operazione Tor di Valle) con gli arresti e le accuse di “corruzione sistematica” di cui sappiamo. Forse (alla luce degli usi e costumi) un’inchiesta della magistratura non era impossibile da pronosticare.
Anche se leggendo le carte dobbiamo ammettere che era difficile immaginare che politici, funzionari, assessori e superconsulenti potessero rovinarsi avendo tutti i riflettori puntati contro (in qualche caso per un piatto di lenticchie e qualche biglietto gratis per la partita). Davvero intollerabile l’accordo tra i manager di Parnasi sul ponte saltato: “Non dite che serve, senza l’opera sarà caos sulla Via del Mare”.
Anche se in questa storiaccia l’ A.S. Roma è parte lesa ribadiamo il concetto: in una città dove è complicato aprire anche solo un chiosco per la grattachecca lei poteva davvero pensare che sarebbe riuscito a costruire uno stadio? Comunque, se malgrado tutto dovesse riuscirci meriterebbe un busto al Pincio e un monumento equestre al Gianicolo, come si conviene ai più fulgidi eroi della Capitale. Auguri di cuore.