Il Mondiale brilla un po’ di meno, o comunque di una luce nuova. Sono cadute le stelle, magari ce ne saranno altre: come Kylian Mbappé, che chissà se riuscirà a raggiungere quel livello, pure nell’immaginario collettivo della gente, ma intanto a 19 anni è già decisivo come solo Pelé ha saputo essere a quell’età. Non Messi e Ronaldo, però, per cui ieri è finito un sogno, quasi un’epoca. Quella del più grande dualismo del calcio moderno, anni di rivalità, dibattiti infiniti, classe o potenza, genio o regolatezza, tifosi divisi come il bianco e il nero, 5 palloni d’oro a testa, Champions League da una parte e dall’altra, scudetti in serie. Ma mai il Mondiale, nessuno dei due: Argentina e Portogallo, che avrebbero potuto incontrarsi nei quarti per una sorta di sfida finale tra i due campioni, sono state eliminate prima da Francia e Uruguay, perdendo rispettivamente 4-3 e 2-1. Loro non sono stati abbastanza grandi per evitarlo.
Valeva la pena aspettare. Se per qualcuno la prima fase del torneo era stata noiosa (ma poi per chi?), l’inizio degli ottavi ha regalato subito la partita più spettacolare di questa edizione, e grandi emozioni. Dieci reti in 180 minuti, due meravigliose di Di Maria e Pavard, altrettante doppiette di Mbappé e Cavani, la freschezza della Francia che ha tra le mani una delle migliori generazioni di sempre, la gara esaltante dell’Uruguay. E la delusione dei campioni, ciascuno a suo modo: Leo sempre a testa bassa, spento, quasi rassegnato, Cristiano furioso mentre sbatteva contro la muraglia uruguagia. Le telecamere della regia andavano a cercarli impietose dopo ogni rete degli avversari. Non li rivedremo più in Russia, forse nemmeno in una Coppa del Mondo: in Qatar, nel 2022, l’argentino avrà 35 anni, il portoghese addirittura 37. Probabilmente troppi per riprovarci, era l’ultima occasione.
È solo la prima, invece, per Kylian Mbappè, nuova stella del calcio mondiale che il mondiale ha consacrato, protagonista assoluto della vittoria francese. Ieri ha fulminato la difesa dell’Argentina, e pure qualche record di atletica leggera: è stato calcolato che nello scatto dell’azione del rigore procurato ad inizio match, ha corso alla velocità di 38 chilometri all’ora, media superiore persino a quelle di Usain Bolt. Ad alcuni, per una semplice questione di nazionalità, ricorda Thierry Henry, ad altri Ronaldo, il Fenomeno, quello brasiliano. La statistica lo paragona addirittura a Pelè: soltanto O Rei nella storia dei Mondiali ha segnato una doppietta nella fase ad eliminazione diretta prima dei 20 anni (lui fece addirittura una tripletta, in semifinale proprio contro la Francia a Svezia ‘58). Magari è davvero l’inizio di una nuova era e di un ricambio generazionale.
Messi e Ronaldo non escono certo per colpa loro, ma per l’imbarazzante non gioco dell’Argentina, dilaniata dalle scelte del ct Sampaoli (che non si è ancora dimesso, in perfetto stile Ventura) e le tensioni di spogliatoio, o il nulla assoluto del Portogallo, che non ha trovato alcuna alternative alle sue giocate. Ma nella sconfitta entrambi sono scomparsi, vittime e non salvatori della patria. Di questo soprattutto si tratta. Nell’epica dei campionissimi del pallone, c’è sempre stato il mito del personalismo: Pelè giocava nel Brasile più forte della storia, ma ha portato due volte il Santos in cima al mondo della coppa Intercontinentale (quando contava qualcosa), Maradona è stato l’unico a riuscirci sia a livello di club che di nazionale, col Napoli e l’Argentina. Vincere da soli, una sfida impossibile. Ronaldo ce l’ha fatta col Portogallo agli Europei (e con un pizzico di buona sorte, nella finale vista dalla panchina infortunato), ma il Mondiale è troppo anche per lui. Ma forse è giusto così: anche in questo in due eterni rivali resteranno sempre pari.