“Paolo Fiorentino nei giorni immediatamente precedenti l’arresto dell’avvocato Luca Lanzalone, mi riferì di averlo incontrato, decantandomene le qualità professionali”. C’è questo passaggio nel comunicato con cui Vittorio Malacalza ha annunciato di voler lasciare il cda della banca Carige (di cui era vicepresidente, presidente ad interim nonché primo azionista). Non c’è pace per l’istituto genovese. Dopo anni di inchieste, dopo l’arrivo della famiglia Malacalza. Poi i tormentati aumenti di capitale. Ora sembrava raggiunta una fase di relativa tranquillità. Un’illusione, già si profila all’orizzonte l’asse tra il nuovo socio di peso, Raffaele Mincione (5,4%) e il miliardario ligure Gabriele Volpi (9%). Quello che ha fatto fortuna con il petrolio nigeriano e che ha come braccio destro Gianpiero Fiorani. Sì, proprio il furbetto del quartierino delle scalate del 2005. Così come nei nuovi assetti emerge l’ex sindaco di Genova, Giuseppe Pericu (centrosinistra). Mentre – storce il naso qualcuno in ambienti della banca – lo studio del figlio Andrea, noto avvocato, ha ottenuto consulenze dall’istituto.
Ma andiamo con ordine. A far deflagrare tutto è l’intercettazione nell’inchiesta sullo Stadio della Roma rivelata dal Fatto. Un colloquio tra Fiorentino (non indagato) e il costruttore Luca Parnasi che risale al 3 giugno, pochi giorni prima dell’arresto di Parnasi: “Tu fagli fare qualcosa anche a Lanzalone, dagli 50… 30.000 euro di consulenza … fagli fare una cazzata! Costruiamo questo percorso a tutto tondo! Così quando è il momento…”. Ma la conversazione tra Parnasi e Fiorentino contiene un altro passaggio: “Parnasi – riassumono i carabinieri – consiglia di lavorare sulla villa o su una caparra… Parnasi dice che può fare una caparra o un finanziamento su una banca greca, secondo una tecnicalità con cui poi si perde tutto”.
Fiorentino al Fatto precisò: “Quel colloquio non ebbe alcun effetto. Non ho mai dato alcun finanziamento a Parnasi, né consulenze a Lanzalone. Certo, lo conosco, è una persona emergente”. Emergente al punto che durante un recente pranzo tra Fiorentino e Lanzalone (pochi giorni prima degli arresti romani) quest’ultimo ricevette una telefonata e disse che si trattava di Luigi Di Maio.
Il susseguirsi di voci ha fatto andare in pezzi il cda: si sono dimessi il presidente Giuseppe Tesauro, Francesca Balzani (ex vicesindaco di Milano con Giuliano Pisapia) e l’avvocato Stefano Lunardi. Tesauro l’ha detto a chiare lettere: “Le intercettazioni mi hanno convinto che anche un lontano sospetto nei confronti di dipendenti della banca potesse ledere la mia dignità”. Parole pesanti, tanto che Fiorentino ha annunciato una querela nei confronti di Tesauro. Ma ieri sono arrivate anche le dichiarazioni di Malacalza (“Fiorentino mi decantò le capacità di Lanzalone”). Il principale azionista di Carige (20%) non si ferma qui: Fiorentino ha cercato di “delegittimare il mio ruolo di supplenza del presidente”.
Guerra totale. Così ci si avvia ad avere un cda che ha perso quattro membri in pochi giorni. E governa senza il sostegno del primo socio. “Sono degli zombie”, sussurrano nei corridoi della sede. Ma il braccio di ferro è soltanto all’inizio: “Non intendo lasciare il mio impegno in Carige”, annuncia Malacalza che nell’istituto ha investito 376,5 milioni con una minusvalenza di quasi 290. La banca dal 2013 ha chiesto ai soci 2,2 miliardi, ma ora vale 422 milioni.
Dietro le quinte si combatte per il comando della banca – cassaforte dell’economia ligure – e ci si divide sulle dismissioni dei gioielli di famiglia per centinaia di milioni. Ed ecco, appunto, emergere nuove figure. C’è Mincione che nei giorni scorsi si è lanciato in un’affermazione che negli ambienti di potere genovesi è stata traumatica: “Ho sempre detto che il tempo massimo per arrivare a un’aggregazione sarebbe stato 18 mesi. Oggi sono convinto che sia necessario accelerare”.
Mincione potrebbe allearsi con il secondo socio, Gabriele Volpi. Quel Volpi, accreditato di un patrimonio di due miliardi, che è indagato per evasione fiscale con Fiorani. Non solo: Volpi, patron della Pro Recco, il Real Madrid della pallanuoto. Agli eventi del miliardario sono stati segnalati più volte Giovanni Toti e Matteo Salvini. Una vicinanza forse non solo sportiva. La finanza, una volta amica del Pd, oggi guarda a Toti. Stesse persone, bandiere diverse. Come Aldo Spinelli, socio con l’1%. Un tempo vicino all’ex governatore ligure Claudio Burlando (Pd) adesso partecipa alle cene di sostegno del centrodestra totiano. Da Spinelli ieri è arrivato un endorsement di peso: “Il prossimo presidente di Carige potrebbe essere Giuseppe Pericu”. Sì, l’ex sindaco di Genova che negli ultimi anni ha collezionato poltrone: consigliere della Cassa Depositi e Prestiti, membro del comitato esecutivo del prestigioso Istituto Italiano di Tecnologia (l’Iit destinatario di centinaia di milioni di finanziamenti pubblici) e presidente dell’Accademia Ligustica. Nonché membro del consiglio di indirizzo del Teatro Carlo Felice.
Ma, dopo le polemiche sulle consulenze che Parnasi cercava in Carige per Lanzalone, tutte le consulenze sono finite sotto la lente di ingrandimento. Anche quella all’avvocato Andrea Pericu. Che ricostruisce così: “Tutto regolare. Ho una consulenza per una piccola operazione di ristrutturazione. Mi è stata assegnata con gara”. Ma risale a quando suo padre era già nel cda? “Sì, ma già in precedenza avevo lavorato con la banca”. Il compenso? “Intorno ai 30 mila euro. L’incarico lo dà la banca, ma a pagare è il debitore”. Consulenze e spese sono nodi che hanno diviso il cda. Come la vendita delle partecipazioni pregiate. Vedi l’Autofiori “che in cassa porta 8-9 milioni l’anno ed è valutata 88 milioni, ma potrebbe valere ben di più”, commentano autorevoli fonti interne. Il timore è quello di una ‘svendita’ al gruppo Gavio.