Effetto decreto Dignità. Il caso degli 8.000 a rischio

15 Luglio 2018

Luigi Di Maio, vicepremier e ministro del Lavoro, arriva a evocare un complotto dei tecnici: “Quel numero è apparso la notte prima che il decreto venisse inviato al Quirinale, non è un numero messo dal governo”. Fonti dei Cinque Stelle dicono poi alle agenzie di stampa che è “ora di fare pulizia” alla Ragioneria generale dello Stato e al ministero del Tesoro.

Vediamo cosa è successo.

La questione riguarda la relazione tecnica che accompagna il decreto Dignità pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale e quindi esecutivo. All’articolo 1 fissa nuovi limiti per i rinnovi dei contratti a tempo determinato, il massimo diventa 24 mesi invece che 36, la misura si applica anche ai contratti in essere (tranne che nella Pubblica amministrazione). Sopra i 12 mesi torna l’obbligo di una “causale”, l’azienda deve cioè giustificare perché usa un rapporto a termine anziché un tempo indeterminato. È previsto anche un rincaro (contributo addizionale dello 0,5 per cento) per ogni rinnovo, così da “indirizzare” le imprese verso contratti stabili, rendendo più costosi quelli precari.

Veniamo agli effetti. La relazione tecnica abbinata al decreto chiarisce che ci sono oggi 80.000 contratti in Italia che sono a termine e che superano i 24 mesi. Questi non potranno più essere rinnovati. L’Inps, su richiesta del ministero del Tesoro, elabora una stima in base alla quale il 10 per cento di quegli 80 mila “non trova altra occupazione dopo i 24 mesi”. Sulla base dell’ipotesi di uno stipendio medio di 1.800 euro e di una perdita di 8 mesi di lavoro, il Tesoro calcola l’impatto sulla finanzia pubblica. Che è percepibile soltanto nel 2019 (119 milioni), poi il calo dei contributi versati dai lavoratori si compensa con il minore costo della Naspi, l’ammortizzatore sociale contro la disoccupazione il cui importo dipendente dalla durata del contratto precedente (quindi dopo 24 mesi c’è una Naspi minore che dopo 36). E l’effetto sulla finanza pubblica si azzera dal 2021.

Il professor Pasquale Tridico, economista di Roma Tre, che guida la squadra dei consulenti tecnici di Di Maio, è molto scettico sulla stima dell’Inps: “È una ipotesi legittima, ma non è affatto detto che le cose andranno così, un’impresa seria che ha fatto lavorare qualcuno per due anni davvero vorrà perderlo allo scadere del contratto? Se ne ha bisogno lo stabilizzerà o, al massimo, assumerà qualcun altro con un nuovo contratto a termine”. Una parte di quegli 8.000 che secondo l’Inps resteranno senza lavoro lo sarebbero comunque stati allo scadere dei 36 mesi previsti dalle regole attuali (a meno che non si ipotizzi un poco realistico tasso di conversione del cento per cento). Quindi si anticipano di un anno alcune dinamiche che si sarebbero verificate più avanti. L’Inps stima che saranno comunque 8.000 persone ogni anno a risentire degli effetti del decreto Dignità, per effetto trascinamento della prima stretta.

“In tanti volevano che il decreto non si applicasse ai contratti in essere, ma per noi era fondamentale. Vogliamo farla finita subito con la precarietà non necessaria, resteranno comunque flessibili per chi ha davvero bisogno di lavoratori soltanto per esigenze particolari o manifestazioni temporanee”, spiega Tridico.

Il numero di persone che finirebbero vittime della stretta in nome della lotta alla precarietà pare comunque minimo: 8.000 persone su 2 milioni titolari di contratti a termine, lo 0,4 per cento. Sui giornali e nel dibattito social quella cifra viene gonfiata, con Il Sole 24 Ore che in prima pagina parla di “80.000 contratti a rischio”, considerando in pericolo tutti i titolari di rapporti con durata sopra i 24 mesi. Repubblica agli 8.000 a rischio ne aggiunge altri 14.000 per la reintroduzione delle causali sopra i 12 mesi, ma è una stima a spanne che nella relazione non c’è. Il Corriere della Sera poi vede a in pericolo addirittura altri 400.000 posti di lavoro, ma per un altro provvedimento, un disegno di legge M5S che riduce a 12 le aperture festive dei negozi (la cifra, presa per buona, è dell’associazione di categoria Confimprese). Ma anche per quel dato non c’è alcuna base documentale.

Questa la spiegazione del mistero degli 8.000 posti. Ma è stato un complotto dei tecnici contro Di Maio? Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto Dignità la sera del 12 luglio (notizia Ansa delle 21.37). Già dal mattino, tra giornalisti e lobbisti, la relazione tecnica circolava con la tabella sugli effetti. I tecnici dell’Inps rivendicano la correttezza della stima sugli 8.000 contratti a rischio – con requisiti più stringenti sui rapporti a termine e nessun incentivo a quelli indeterminati, che si perda qualche posto è inevitabile, dicono – e spiega di aver sempre tenuto un dialogo costante con il ministero del Lavoro di Di Maio. Il Tesoro chiarisce di aver ricevuto dal ministero competente – cioè il Lavoro di Di Maio – il testo corredato di relazione tecnica. “Stiamo lavorando a nuove misure per abbassare il costo del lavoro e incentivare i contratti a tempo indeterminato”, dice Di Maio. Misure che nel decreto non ci sono, potrebbero forse entrare in fase di conversione in Parlamento (se ne parla dal 24 luglio). E così potrebbe ridursi l’impatto del decreto su quello 0,4 per cento di lavoratori a termine.

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