Nella migliore delle ipotesi sono “testimoni” che hanno riferito fatti da loro “dimenticati” per moltissimi anni solo in seguito al “clamore mediatico. Nella peggiore hanno mentito ma non ci sono prove per sostenerlo. Sono gli smemorati della Trattativa, quei politici e alti esponenti dello Stato rimasti lontani dal banco degli imputati ma autori di ricordi “certamente tardivi”. Quando va bene. Ci sono anche loro nelle oltre cinquemila pagine delle motivazioni della sentenza sul patto tra boss e Istituzioni. Come Luciano Violante, ritenuto credibile dalla Corte d’Assise quando racconta dei tentativi di aggancio di Vito Ciancimino: ma prima del 2009 non ne “aveva mai fatto cenno ad alcuno”. Per i giudici poi le dichiarazioni di Liliana Ferraro, la donna che prese il posto di Giovanni Falcone al ministero, “non possono non suscitare forti perplessità”. Quelle dell’ex guardasigilli Giovanni Conso – scomparso mentre era ancora indagato per false informazioni ai pm – si fanno segnalare per “l’assolutamente evidente (e appariscente) contrasto”: è probabile “abbia voluto “sfumare” le sue convinzioni sull’atteggiamento da tenere sul 41 bis.
La testimonianza dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro – pure lui deceduto a indagine in corso – viene invece definita “sorprendente”: “In assenza e prima di qualsiasi domanda o cenno, ha spontaneamente escluso la sussistenza, non soltanto di una qualsiasi possibile trattativa tra Stato e mafia” ma anche “il possibile legame tra il regime del 41-bis e le stragi del 1993”, scrivono i giudici segnalando che “ove si volesse escludere la consapevole reticenza del teste, può trovare una qualche giustificazione soltanto il lungo tempo trascorso o di patologie dovute all’età avanzata”.
Poi ci sono gli altri, gli imputati. Calogero Mannino è stato assolto in primo grado con l’abbreviato ma per la Corte d’assise quando si rivolse al generale Antonio Subranni voleva “attivare un canale che, per via info-investigativa, potesse sì acquisire più dettagliate notizie sugli intendimenti e sui movimenti di Cosa Nostra ma, inevitabilmente, anche operare affinché il corso degli eventi per lui sfavorevole potesse essere in qualche modo mutato”.
Le “sollecitazioni” di Nicola Mancino a Loris D’Ambrosio, consigliere dell’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, sono invece “un’iniziativa certamente censurabile”, inammissibile e inopportuna. Mancino è stato assolto dal reato di falsa testimonianza: non rammentava che Claudio Martelli gli avesse parlato delle manovre del Ros del generale Mario Mori con Ciancimino. I giudici optano per un pareggio: non mente Martelli che potrebbe non ricordare “con precisione e completezza” quanto riferito a Mancino. Ma non mente neanche Mancino che considerava i contatti tra carabinieri e mafia “una problematica per lui, in quel momento, sicuramente secondaria”. Il 4 luglio del 1992 il ministro dell’Interno e quella della Giustizia parlavano della Trattativa ma non si capirono. Due settimane dopo ammazzarono Paolo Borsellino.