L’incognita

Il mistero di Xi, leader assoluto

A differenza di tutti i suoi predecessori, da Mao in poi, non ha rivali che gli contendano la guida del Partito comunista e tutti si chiedono se saprà gestire la Cina anche in tempo di crisi

Di Kerry Brown
27 Luglio 2018

Probabilmente Xi Jinping è l’uomo più fortunato di tutta la Cina. Forse, perfino del mondo. Xi è arrivato al potere in un periodo in cui la storia della Cina non è mai stata più favorevole, in termini di ricchezza e influenza. Ciò non è frutto del suo operato, ma del popolo cinese e dei leader che lo hanno preceduto.

Inoltre Xi ha ereditato un Paese unito e con un’economia dinamica, un Paese dove il Partito comunista cinese resta dominante e che lui sta traghettando verso quella svolta ormai prossima – il 2021 – in cui tornerà a essere una grande nazione. L’unico vero compito di Xi è non mandare all’aria le cose. Ed è questo ciò che sembra cercare di fare.

A colpire di più è la mancanza assoluta di possibili rivali che lo ostacolino all’interno del partito. Mao dovette affrontare un numero incalcolabile di avversari potenziali. Alcuni, come Gao Gang, li combatté con ferocia. Altri, come Zhou Enlai, all’inizio li cooptò e ne fece degli alleati. Per tutta la sua vita Mao si trovò davanti contendenti, dal maresciallo Peng Dehuai ai sostenitori di una maggiore liberalizzazione del mercato agli inizi degli anni Sessanta. Deng Xiaoping faceva parte di quest’ultimo gruppo, negli anni Novanta, Deng, ormai ottuagenario, dovette sconfiggere i conservatori che sfruttarono i fatti del 1989 come un’opportunità per poter esercitare pressioni sul partito affinché facesse un passo indietro e tornasse a un maoismo più ortodosso. Anche Jiang Zemin e Hu Jintao non hanno avuto vita facile.

Xi Jinping, invece, ha ereditato una situazione quanto più simile possibile a una tabula rasa. Bo Xilai – giovane signorotto carismatico, popolare e audace – era un’alternativa reale, pur non essendo stato promosso nel 2007. Nessuno avrebbe potuto prevedere gli eventi del 2011 che avrebbero portato all’inizio del 2012 all’arresto per omicidio della moglie di Bo. Quell’episodio spazzò via l’unico avversario che avrebbe potuto togliere lustro a Xi.

Non abbiamo visto che tipo di leader sarebbe Xi in tempi di crisi perché la Cina di oggi, stranamente, ha avuto una serie ininterrotta di anni di stabilità, sia a livello interno sia esterno. Malgrado le tensioni con la Corea del Nord, nel Mar cinese meridionale e nel Mar cinese orientale, le condizioni precarie degli Stati Uniti e di buona parte del resto del mondo implicano che la Cina è un Paese troppo importante per non centrare l’obiettivo. Ormai, il problema non è più frenare la Cina. Ormai, è la Cina a frenare noi. E un suo fallimento sarebbe il nostro. Per questo motivo, Xi è un leader globale. Se dovesse fare un passo falso, le conseguenze sarebbero catastrofiche.

In Occidente, di rado siamo riusciti a valutare questi personaggi nel giusto contesto, leader di un Paese dove perfino la legge di un partito unito era niente più che la superficie tranquilla di un lago percorso da profonde correnti turbolente e insidie nascoste. La nostra attenzione è sempre stata dedicata alla vita visibile della politica, non alla Cina più profonda che le sta attorno, con la sua storia antica, la sua società stratiforme, la sua infinita complessità sociale e culturale. I leader cinesi erano i simboli di quella Cina più profonda, ma questo offriva loro un raggio d’azione e un potere che in realtà non ebbero mai.

Xi viaggia molto e nelle sue visite sorride e parla al resto del mondo in termini rassicuranti. Dice che la Cina, quantomeno dal 1979, non ha mai ingaggiato battaglie militari. Dice che una Cina forte, una Cina sicura, è fonte di stabilità globale, e qualcosa di positivo. Xi ha ragione anche quando dice che garantire benessere a un quinto del genere umano è un’impresa colossale – e che il governo cinese si sta impegnando in questo sforzo dal 1978. O, se non altro, lascia che così accada. La gente, però, è spaventata da come opera lo Stato cinese. In Australia e in Nuova Zelanda, i timori di ingerenze della Cina nella politica locale stanno raggiungendo un picco quasi febbrile. Alla fine del 2017, Frances Adamson, ex ambasciatrice australiana in Cina (e attuale responsabile generale dei servizi diplomatici), ha affermato che gli australiani non dovrebbero mai mettere in gioco i loro valori in una campagna esterna, insidiosa e invasiva, condotta dallo Stato cinese. In Nuova Zelanda, si è affermato che Yang Jian, popolare parlamentare che nelle elezioni del 2017 in un primo tempo era stato acclamato dalla Cina, di fatto era una ex spia iscritta al PCC che non aveva mai fatto trapelare informazioni sul suo passato. Queste contro-interpretazioni degli eventi, rispetto a quelle favorite da Xi, dimostrano la complessità del mondo col quale deve vedersela la Cina.

L’India sarà tutta sorrisi, ma è a disagio riguardo alle ambizioni previste dall’Iniziativa della cintura e della strada. Negli Stati Uniti e nell’Unione europea, i sospetti nei confronti dei livelli sempre maggiori degli investimenti cinesi crescono più forti di giorno in giorno, aumentando in rapporto ai volumi di capitale che arrivano. La Cina ha delineato la sua visione tramite il Sogno cinese e l’Iniziativa della cintura e della strada. Ma le contro-interpretazioni dell’Occidente sono preoccupanti. Ovunque si guardi, la gente trova cose diverse di cui diffidare. Xi è colui che può cercare di mitigare questi timori.

Eppure tutto ciò che lo riguarda – il suo passato, il suo modus operandi, il potere che emana da lui e dal suo entourage – rafforza proprio quei messaggi che si presume egli debba smentire. A prescindere da ciò che la gente prova nei confronti di Xi e del tipo di cultura da cui egli proviene, una cosa è innegabile: fuori dalla Cina nessuno ha il diritto, morale o di altro tipo, di negare alla nazione che Xi guida il suo momento di appagamento. Il fatto che un Paese un tempo tormentato e azzoppato da povertà, malattie e dissenso sia ora stabile, ricco e sano, e che contribuisca alla ricchezza generale invece di ricavarne solo aiuto, dovrebbe essere motivo di festeggiamenti planetari.

La “missione storica” di cui parla Xi potrebbe risultare più ispirante per il popolo cinese che per chi vive fuori dal Paese, ma se si ripensa al baratro di sofferenza nel quale il Paese viveva meno di un secolo fa, soltanto le persone meno imparziali potrebbero risentirsi con la Cina per la sua rinascita.

Per arrivare dove è oggi, il Paese ha pagato un prezzo tremendo. Xi potrebbe non interessarci molto come leader di un sistema monopartitico che non ci piace e che vorremmo fosse riformato. Ma come servitore di questa Cina che assicura giustizia, riscatto storico e speranza, appare sotto ben altre vesti. Non dovremmo mai dimenticare gli spiacevoli fatti della realtà dello Stato cinese odierno. Ma non dovremmo nemmeno dimenticare l’altra realtà, quella di un Paese rinato dalle ceneri di guerre, carestie e frammentazione, fino a tornare a essere una forza globale.

La storia della Cina è complicata, ma è anche veritiera. E la questione cruciale affinché tutta la comunità internazionale si impegni con la Cina di Xi è capire quanto noi in Occidente saremo in grado di abbracciare quella complessità. Da questo punto di vista così fondamentale, la Cina di Xi è anche la nostra. E, che ci piaccia o no, anche noi facciamo parte della sua storia.

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