L’avvocato dell’Eni Piero Amara era in grado di istruire un fascicolo, d’impartire direttive per le indagini, di scrivere verbali di interrogatorio per testimoni farlocchi. E tutto questo poteva accadere perché esisteva il “metodo Siracusa”. “A Siracusa esiste un metodo”, dice ai pm l’avvocato Giuseppe Calafiore, imputato con Amara di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. “È il metodo Siracusa – continua – nel senso che chiunque vuole, e gli avvocati lo fanno, scegliersi un pubblico ministero piuttosto che un altro, sostanzialmente fa la denuncia nella fase del turno e ha una percentuale molto alta che quella denuncia vada a quel pubblico ministero…”. “Sostanzialmente – ribatte la pm Antonella Fradà – la denuncia viene presentata quel determinato giorno perché c’era il dottore Longo…”. E in effetti, il fascicolo su un fantomatico complotto per far cadere l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, contestualmente imputato a Milano per la maxi tangente pagata in Nigeria nell’acquisto del giacimento Opl 245, finì proprio nelle mani del pm Giancarlo Longo, anch’egli imputato con Amara e Calafiore. Il Fatto sin dal giugno 2016, quando per la prima volta iniziò a seguire l’inchiesta, ipotizzò che il “complotto” fosse inesistente e che qualcuno avesse voluto pilotare la procura di Siracusa. Il burattinaio del fascicolo – come dimostrano i documenti pubblicati dal mensile S – è venuto allo scoperto.
“Avevo un duplice obiettivo”, confessa l’avvocato dell’Eni Piero Amara. “Ritenevo – continua – che fosse vera la manovra finalizzata sia a colpire i vertici della società, che i vertici dell’ufficio legale, con cui io lavoravo. È l’ufficio legale che assegna, che individua gli avvocati e così via, e la gestione di questa vicenda mi ha ulteriormente rafforzato… Quindi l’obiettivo era uno, dal mio punto di vista reale, perché le informazioni ricevute da Armanna (Vincenzo, ndr) mi avevano spinto ad andare oltre il seminato con l’esposto anonimo e così via”.
Vincenzo Armanna è imputato a Milano per la maxi tangente in Nigeria: “È un ex dirigente Eni”, spiega Amara alla pm, “che poi diventò teste di accusa della Procura di Milano nei confronti dei vertici dell’Eni” per la maxi tangente del blocco petrolifero in Nigeria. Amara nega che il teorema del complotto contro Descalzi fosse connesso al processo milanese. Ma non è certo un caso che sia indagato, con l’ex capo dell’ufficio legale Eni, Massimo Mantovani: l’ipotesi è che il fascicolo nato a Siracusa volesse condizionare proprio l’inchiesta milanese.
“Ero depositario di informazioni che mi provenivano da Armanna – spiega Amara – (…) lui raccontò di questa manovra organizzata da alcuni soggetti per defenestrare Descalzi. I contenuti di queste informazioni furono da me inviati in forma anonima alla Procura di Trani e questa fu l’origine del procedimento di Trani”. E infatti il primo fasicolo – che non trova sviluppi – viene istruito proprio a Trani. “Furono inviati tre esposti a Trani, tutti i tre furono inviati da me”, continua Amara. “Andai una volta a Trani, per preannunciare la visita dei vertici dell’ufficio legale di Eni al Procuratore, anche se poi non partecipai alla riunione, poi ebbi modo di incontrare il dottor Capristo (Carlo Maria, ex procuratore di Trani, ndr) non a Trani ma a Roma, presso la Galleria Sordi, e percepii chiaramente che lui non vedeva sfogo in relazione a questa vicenda”. E così si pensa di far ricominciare tutto a Siracusa con una nuova denuncia. “Speravo – aggiunge Amara – che a un certo punto si potesse trovare il modo che il fascicolo da Trani potesse arrivare a Siracusa”. “Tramite l’avvocato Calafiore”, continua Amara, “informai il dottor Longo che sarebbe stata presentata questa denuncia e vi era l’esigenza che lui trovasse il modo di assegnarsela. Quindi nasce il procedimento che viene incardinato dinanzi a Longo”.
A presentare la denuncia è tale Alessandro Ferraro, imprenditore che denuncia di essere stato sequestrato perché in possesso di documenti scottanti: “Ferraro presentò la denuncia poi convinse Gaboardi di riferire ciò che sapeva”. Massimo Gaboardi è un tecnico petrolifero che riferirà l’esistenza del (finto) complotto per far cadere Descalzi. Amara scrive, in anticipo, la versione che Gaboardi deve rendere in procura e il pm Longo la copia direttamente sul suo computer: “Le Sit furono di fatto scritte da me, poi consegnate, mi pare il giorno prima dell’assunzione di sommarie informazioni testimoniali. Ho consegnato questa pen drive a Calafiore, che andò in Procura e ci fu una riunione in cui c’erano: Longo, Gaboradi e Calafiore”. Non solo. È Amara che decide chi deve essere interrogato e quali documenti acquisire. E fa in modo che venga interrogata – poi sarà anche indagata – la consigliera indipendente dell’Eni Karina Litwak: “Sono intervenuto chiedendo, tramite Calafiore a Longo, di assumere a sommarie informazioni la Litvack. Il signor Andrea Bacci, che poi doveva essere una persona informata sui fatti. Suggerii delle acquisizioni documentali presso la società (l’Eni, ndr)…”.
Amara continua a sostenere che l’ipotesi del complotto non fosse completamente campata in aria. Riferisce d’aver assistito alla conversazione tra Andrea Bacci (imprenditore all’epoca molto vicino all’ex premier Renzi) e l’iraniano Radouan Katwani per spingere sulla nomina in Eni del manager Umberto Vergine. Interpellato dal Fatto, Katwani ha sempre smentito.