Dopo le stragi del 1992 che decapitarono l’antimafia con l’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ho intrapreso un lungo viaggio da Torino a Palermo. Qui trovai una situazione piena zeppa di difficili problemi, ostacoli, incertezze, incognite, trappole e pericoli. Se ne siamo usciti con la possibilità di rivendicare un bilancio positivo, di forte contributo a un percorso vincente di resistenza allo strapotere mafioso, lo devo a molti fattori. Oltre alla collaborazione delle forze dell’ordine, dei colleghi magistrati e della società civile palermitana, assolutamente decisivi sono stati l’affetto, l’amicizia, la solidarietà ed il sostegno costanti dei familiari delle vittime. Tutti i familiari. Tra questi – in modo particolare – Rita Borsellino.
Farmacista, assorbita in pieno dal suo lavoro, dopo la morte del fratello, Rita decise di impegnarsi – senza risparmio di tempo e di energie – in un’intensissima attività: decine e decine di iniziative nelle scuole di ogni ordine e grado (nel senso letterale dell’espressione: dagli asili alle università); per parlare ai ragazzi di Paolo e Giovanni, della mafia e delle sue nefandezze, di legalità e giustizia, di futuro da costruire, di necessità di impegnarsi tutti e ciascuno per diventare cittadini liberi e crescere insieme in diritti e uguaglianza.
Un’attività per lei nuova, tanto da farle dire che era “nata il 19 luglio”, cioè il giorno della strage di via d’Amelio. Questo è anche il titolo di un bel libro di Rita, che in copertina – oltre ad una sua sorridente fotografia – reca la scritta “lo sguardo dolce dell’antimafia”. Proprio così: ascoltando Rita si restava sempre profondamente colpiti dalla sua dolcezza e pacatezza, pur nell’esposizione di argomenti complessi che la portavano anche a esprimere dure critiche (sempre argomentate con precisione) nei confronti di chi, spesso con compiti istituzionali di rilievo – non sempre era all’altezza delle sue responsabilità.
Di Rita va poi ricordato l’impegno in “Libera”, a fianco di Luigi Ciotti, nell’organizzazione di forme associative sempre più efficaci ed estese sul versante della cultura della legalità e dell’antimafia. Un asse portante della sua vita e al tempo stesso un’architrave della credibilità della società civile nelle sue componenti non indifferenti e non rassegnate.
Nel mio ricordo Rita è profondamente intrecciata con un’altra figura di eccezionale importanza nella storia civile del nostro Paese: Nino Caponnetto, il “capo” del pool di Falcone e Borsellino prima del suo vergognoso smantellamento ad opera anche del Consiglio superiore della magistratura.
Ho avuto l’onore di poterli ascoltare insieme in molte occasioni e ho potuto registrare in diretta come sia vero che la loro testimonianza ha avuto un profilo “rivoluzionario”: nel senso che in un Paese spesso rappresentato da personaggi a dir poco discutibili, l’impegno genuino di persone come Rita Borsellino e Nino Caponnetto (con altri come Luigi Ciotti) ha saputo ridare un po’ di fiducia nello Stato, restituendo qualche concretezza alla frase, altrimenti vuota, “lo Stato siamo noi”.