La commissione ministeriale che indaga sul ponte va in pezzi: si è dimesso Antonio Brencich, professore dell’università di Genova. E il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha revocato l’incarico al presidente Roberto Ferrazza “secondo ragioni di opportunità”. Tutto nasce dal parere che il Provveditorato alle Opere Pubbliche dello stesso ministero ha dato nel febbraio scorso sul progetto di Autostrade riguardo alla ristrutturazione dei piloni 9 (quello crollato) e 10. Il documento – su cui si sta concentrando l’attenzione dei pm – era firmato anche da Ferrazza e Brencich. Al posto del presidente subentrerà Alfredo Principio Mortellaro, dirigente del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Intanto era emerso altro: dopo l’allarme sui controlli sollevato da una consulenza dell’Ismes, Autostrade decise di avviare i lavori ai piloni 9 e 10. Si rivolse anche al Politecnico di Milano che sottolineò i timori per il pilone 9. Anche il parere del Provveditorato non era rassicurante. Così Autostrade, proprio il primo agosto, ha avviato una consulenza anche con l’università di Genova, dipartimento di Ingegneria Civile di cui fa parte Brencich. Ma non c’è stato tempo, il ponte è crollato. E pare che Brencich fosse estraneo al gruppo di studio sul Morandi. Il docente comunque si è dimesso.
Intanto a Palazzo di Giustizia si affilano le armi per le cause civili per danni all’attività del porto che potrebbero arrivare a 10-15 miliardi. Ma prima tocca alla giustizia penale: gli investigatori sono alla caccia di 30 bombole di acetilene, il gas esplosivo e infiammabile usato per le saldature. Al momento del crollo risulta che fossero presenti sul Morandi, ma finora non se n’è trovata traccia. In teoria potrebbero essere state colpite dal fulmine ed esplose dando origine al disastro. È un’ipotesi cui i periti non danno credito, ma in questo momento per trovare la causa del crollo occorre procedere soprattutto per esclusione. Naturalmente anche le bombole costituivano un ulteriore peso sulla struttura. Trovare l’acetilene è importante. Le cause, quindi. C’è poi l’altro filone dell’inchiesta: le responsabilità e i controlli.
Mercoledì le Fiamme Gialle a Roma e Genova, oltre a scatoloni di materiale relativi al ponte, hanno sequestrato i cellulari e i computer di alcuni dirigenti di Autostrade. E hanno sentito, come persona informata sui fatti (quindi non indagato), Michele Donferri, direttore manutenzione e investimenti. Volevano soprattutto sapere dove fosse archiviato il materiale legato ai cantieri e alla sicurezza. Ma sono stati chiesti dettagli sui lavori previsti. Informazioni propedeutiche all’esame dell’immensa mole di materiale. Poi arriverà l’incidente probatorio. E verrà resa nota la lista degli indagati che dovrebbe essere ampia – si parla di una dozzina di nomi – per evitare che eventuali esclusi poi chiedano la ripetizione dell’incidente (che non è sempre possibile, quando si tratta di esaminare materiale deperibile).
Poi si aprirà il gigantesco capitolo dei danni. “Stiamo predisponendo una rete tra istituzioni per assistere le imprese. Vogliamo rendere più rapide le pratiche burocratiche, distribuiremo anche un formulario per valutare i danni diretti e indiretti”, spiega Maurizio Caviglia, segretario della Camera di Commercio. Giampaolo Botta di Spediporto (l’associazione che raccoglie gli spedizionieri) racconta: “Oltre cento spedizionieri si sono incontrati per individuare le soluzioni possibili per non perdere traffici. Il lavoro riprenderà a pieno ritmo a inizio settembre, dobbiamo essere pronti”. Il porto rischia danni enormi? “Speriamo di riuscire a svolgere il nostro lavoro anche con infrastrutture limitate. Certo, se avremo dei danni si è già deciso di costituirci parte civile nel processo”. Secondo le ipotesi più pessimistiche il porto potrebbe perdere fino al 20% dei traffici. I calcoli, per i container, sono semplici: 500mila contenitori in meno. Ognuno vale 30mila euro. Fanno 15 miliardi.