Dinanzi alle violenze nelle strade e la crisi economica che dura da cinque anni e non lascia scampo, per molti venezuelani l’unica alternativa è la fuga. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni dal 2015 a oggi, 1,6 milioni di venezuelani sono scappati, il 90% dei quali in altri Stati del Sud America. “Si sta determinando una crisi che abbiamo già visto in altre parti del mondo, in particolare nel Mediterraneo”, sostiene l’Oim. Antonio Ledezma, ex sindaco di Caracas e leader del partito Accion Democratica, aveva lasciato il Venezuela quasi un anno fa, il 17 novembre scorso, poche settimane dopo essere uscito dal carcere avendo ottenuto i domiciliari. Coperto da una rete di collaboratori, è andato prima in Colombia e da lì in Spagna, a Madrid. “In realtà, in questi otto mesi dalla Spagna ho viaggiato in più di venti Paesi per incontrare i venezuelani fuori dal nostro Paese, per organizzarci e non perdere l’auto-stima, per continuare nella lotta. In questo percorso ho ricevuto tanti attestati di solidarietà”.
Cosa sta accadendo oggi in Venezuela?
Una catastrofe, senza paragoni con altri scenari attuali. Il Paese è in bancarotta e col passare del tempo il baratro si avvicina ed è senza ritorno. A tenerlo paradossalmente in vita è il popolo che resiste, con le unghie e con i denti.
Rispetto agli scontri nelle strade tra esercito e manifestanti, alle vittime dell’estate scorsa, ora le cose sono peggiorate?
Senza alcun dubbio. Chi si sveglia al mattino in Venezuela oggi sa che potrà andare solo peggio. Gli scontri sono diminuiti, ma l’inflazione ha raggiunto picchi incredibili e la svalutazione della moneta è al 4-5mila per cento.
A proposito di moneta, cosa pensa dell’introduzione del Petro?
Maduro ha introdotto una moneta illegale. È nello stile autoritario del dittatore, capace di giocare con la politica monetaria, di convertire la banca centrale venezuelana in un’impresa buona solo per stampare denaro e aumentare l’iperinflazione.
Sul presunto attacco terroristico al presidente con i droni del 5 agosto, quale idea si è fatto?
Considerate chiuse tutte le strade del dialogo col regime, ad ogni livello, compreso quello elettorale, le uniche alternative sono soluzioni radicali, quindi violente.
Anche questa è opposizione?
Mai appoggiato la violenza, neppure adesso. Tuttavia, lo scenario prevede al momento una lotta intestina nel Paese, una resistenza il cui scopo è condurre ad un processo civile di rivoluzione popolare contro la tirannia. L’obiettivo sono elezioni davvero libere. Esiste un’agenda politica combinata, tra i movimenti interni e la diaspora. Noi facciamo pressione affinché l’Unione Europea, gli Stati Uniti, il Canada e così via aumentino le sanzioni verso il regime di Maduro. Al tempo stesso è urgente attivare il settore umanitario per far fronte alla crisi quotidiana.
Sarebbe pronto a rientrare?
Ora è un sogno, per me e i milioni di connazionali sparsi in tutto il mondo. La diaspora ha raggiunto il 12% della popolazione, milioni di persone, la più grande migrazione del pianeta degli ultimi decenni. La crisi in Venezuela uccide per fame, per disoccupazione, per mancanza di medicina. Tra chi scappa c’è la parte buona della società, i migliori talenti.
Lei ha vissuto tutto il periodo di Chávez e la transizione con Maduro: quali le differenze ritiene vi siano tra i due leader?
Chávez era un impostore carismatico, un populista che ha fatto dell’antipolitica lo strumento per salire al potere. Maduro è un politico con molti limiti, ma più sanguinario del suo predecessore.