Walter Veltroni è uno dei rari personaggi della politica italiana dotato di brillante scrittura e solida cultura. Purtuttavia mi perdonerà se, da lettore, faccio presente che il cuore (o forse la notizia) del suo intervento di 501 righe, pubblicato mercoledì scorso su Repubblica, io l’ho faticosamente scovato a riga 280.
Non mi fraintenda. Detesto (come chiunque conservi un’idea di civilizzazione) la comunicazione guttural salviniana del tipo: “La pacchia è finita”. So perfettamente che la propaganda semplificata l’ha inventata il fascismo, ancora visibile su qualche antico muro scrostato (“Il Duce ha sempre ragione”, “Taci il nemico ti ascolta”). Però, tra 5 parole e 2500, tra (per così dire) un rutto e un volume della Treccani sarà pure possibile un compromesso che consenta al comune lettore di un giornale – quello per intenderci che paga un euro e cinquanta – di capirci qualcosa?
Per venire al punto, ecco, quello che a me è parso il passaggio chiave del Veltroni pensiero, che l’autore raggiunge dopo avere elencato le malefatte del governo gialloverde e il rischio concreto di un’egemonia della destra estrema a guida Salvini. “Ma nei confronti dei cinquestelle la sinistra ha compiuto gravi errori. Ha cambiato mille volte atteggiamento, ha demonizzato e cercato alleanze organiche o viceversa, senza capire che molti di quei voti sono di elettori di sinistra. Che molti dei sei milioni di cittadini che avevano votato per il Pd nel 2008 hanno finito con lo scegliere i pentastellati o sono restati a casa. Un dolore profondo, un malessere che meritava molto di più delle piccole risse quotidiane o dei corteggiamenti subalterni. Molti di quegli elettori oggi sono certamente in sofferenza per il dominio della Lega sul governo, e ad essi, e a chi non ha votato, senza spocchia da maestrino, la sinistra deve rivolgersi”.
A questo punto, Veltroni affronta il “come” riconquistare, da sinistra, l’elettore perduto: con un Pd (leggo nel sommario) “che si apra a un progetto unitario che tenga insieme il sogno e il popolo, l’innovazione e l’orgoglio delle radici”. Progetto unitario, sogno, popolo, innovazione, radici. Parole alate, mi lasci dire, che non scendono mai sulla terra, nella vita di tutti i giorni. Utili come una giaculatoria in una chiesa deserta. Abituali nel linguaggio della sinistra quando per non sbilanciarsi si decide di gettare la palla in tribuna. Anche quando si è giunti a un passo dal fare gol.
Perché l’analisi di Veltroni sulla fuga di massa dal Pd è ineccepibile. Però, davvero può pensare che a quei tanti ex elettori, per ravvedersi e tornare a casa, sarà sufficiente una bella riverniciata al partito di cui egli è stato il fondatore (magari cambiando nome all’insegna)? E in fervida attesa di una ipotetica dissoluzione dei Cinquestelle?
O non sarebbe invece il caso di considerare, qui e ora, che il Movimento – con tutte le sue fughe verso l’ignoto, i suoi estremismi infantili, le sua subordinazione all’uomo nero del Viminale – può aver messo solide radici in quel vasto terreno un tempo occupato dalla sinistra? Che nel cospicuo raccolto elettorale grillino non possano esserci solo i frutti avvelenati della rabbia?
Davvero Veltroni ritiene che la classe dirigente M5S sia composta esclusivamente da una massa di miracolati, incompetenti, incapaci e stralunati vari? Come sostenuto con una colossale fake news da quegli stessi cervelli (anche dell’informazione con la verità in tasca) che dunque si sarebbero fatti mettere nel sacco da quella stessa massa di miracolati, incompetenti eccetera?
Bel colpo. Da serio conoscitore della politica e di chi fa politica, Veltroni è sicuro che il governo sia stato occupato da una banda di ragazzotti senza arte né parte? Abbia la pazienza di dare una scorsa ai cv di queste nullità e avrà qualche sorpresa. Non sarà che, piaccia o no agli Orfini e ai Calenda, nella politica italiana è avvenuto un ricambio generazionale, come in tutte le democrazie che non vogliono incartapecorirsi nelle rendite di posizione?
Quanto ai valori della sinistra, giustamente conclamati nel suo articolo, può spiegare Veltroni per quale motivo, nella vicenda della Diciotti, quando contro il sequestro orchestrato dal truce ministro degli Interni è sceso in campo il presidente della Camera Roberto Fico a difesa di quei valori di solidarietà proclamati dal Pd, ebbene dal medesimo Pd si è levato un coro derisorio contro Fico come se le sue parole avessero scombinato il giochino a qualcuno?
Come se per il Pd (vecchio e nuovo) il nemico da abbattere fossero, come sempre nella peggiore storia della sinistra, più dell’estrema destra sovranista e razzista, i concorrenti sul proprio campo (ricorderà certamente la persecuzione dei “social-fascisti”: riformisti e socialdemocratici considerati negli anni Trenta dal Comintern molto più pericolosi dei fascisti stessi).
Come se il rapporto tra Pd e Cinquestelle risiedesse, come giustamente scrive, nell’alternativa secca: “Demonizzare o alleanza organica”. Come se non fosse possibile, senza “corteggiamenti subalterni” la ricerca di un terreno comune di dialogo (ahi che brutta parola). Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Poiché, caro Walter, alla luce del pericolo autoritario che tu paventi, la vera domanda è se oggi il mondo possa ancora essere diviso tra destra e sinistra. O non invece tra umani e disumani? O il mio è solo “linguaggio semplificato”?