Risalita e ormai chiara l’intera catena di comando che all’interno di Autostrade per l’Italia (Aspi) si è occupata del progetto d’intervento migliorativo per il ponte Morandi, ora la Procura e la Guardia di finanza si concentrano sul Consiglio di amministrazione di Aspi e in particolare sulle presunte responsabilità delle prime tre figure di vertice, ovvero il presidente Fabio Cerchiai, l’amministratore delegato Giovanni Castellucci e il capo generale delle operazioni Paolo Berti. Allo stato i tre manager non risultano indagati. Ma certamente il verbale e tutti gli allegati che animarono la seduta del Cda in cui si approvò il progetto di retrofitting (costo 26 milioni di uro) sono ritenute centrali dagli investigatori. Ma c’è di più: secondo gli investigatori vi è infatti la certezza che su quei tavoli, presieduti dai tre manager, arrivarono le carte riguardanti la criticità del ponte. Diversi i documenti visionati.
In particolare, secondo fonti giudiziarie, il Cda lesse il progetto licenziato da Spea Engineering che proprio sulle pile 9 (quella crollata il 14 agosto scorso e che ha provocato 43 morti) e 10 in più passaggi scrive: “Lesioni ramificate capillari con risonanze e fuoriuscita di umidità, sulla malta di ripristino, lesioni larghe verticali con estese risonanze, sugli spigoli nella parte alta di quasi tutte le pile”. Per gli stralli in particolare: “Malta di ripristino risonante, interessata da lesioni ramificate capillari con fuoriuscita di umidità con distacchi; placche risonanti evidenziate da lesioni”. Anche in questo caso le date sono fondamentali. Il verbale del Cda che licenzia il progetto risale alla fine di marzo. Ancora prima però Michele Donferri Mitelli, il capo della Manutenzione di Autostrade, invia una lettera al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (Mit). È una lettera breve ma molto decisa e dove in sostanza Aspi avverte il governo che loro procederanno comunque all’avvio del procedimento di gara anche senza il via libera della Direzione vigilanza sulle concessionarie autostradali diretta dal dottor Vincenzo Cinelli. Una scelta motivata con una frase in fondo neutra: “Per accelerare i tempi amministrativi”. Secondo la ricostruzione della Procura quella più che amministrativa era invece un’accelerazione tecnica e consapevole dell’urgenza. La parola “sicurezza” non compare in questa missiva che anticipa di pochi giorni l’approvazione del Cda di Aspi.
Di “sicurezza” e di lavori necessari in questo senso ne scriverà (sia al Mit sia al Provveditorato ligure) lo stesso Donferri nelle settimane precedenti. I verbali del Cda sono stati i primi documenti a essere sequestrati su indicazione diretta della Procura che li ha subito visionati. Va detto che gli atti arrivati in assemblea al Cda in quel marzo erano già sui tavoli ministeriali inviati dal provveditore Roberto Ferrazza.
Insomma con il cerchio di ruoli, compiti e atti visionati chiuso attorno al Cda di Autostrade il primo lavoro investigativo si avvia a una rapidissima conclusione. Allo stato domani in Procura verranno consegnati tutti gli organigrammi ricostruiti almeno fino al 2015, data fondamentale perché è in questo anno che nasce il progetto di retrofitting con la prima consulenza affidata a Ismes e poi al Cesi. È questo dossier che fissa un primo punto di criticità e di allerta sul Morandi. Non a caso, il rapporto è stato sequestrato dalla squadra Mobile di Genova che contestualmente ha sentito i firmatari del report. Ancora una volta dai verbali emerge un allarme sulla stabilità delle pile 9 e 10 che secondo gli interrogati non è stato ascoltato da Aspi o quantomeno seguito con troppa lentezza. La storia si ripete.
Era già successo per i sensori da applicare sul ponte e, secondo gli inquirenti, mai messi. Sensori consigliati dagli ingegneri del Politecnico di Milano. La Guardia di finanza sta anche lavorando alla ricostruzione degli organigrammi per Mit e Aspi che risalgono agli anni Ottanta, periodo ritenuto fondamentale perché è di quell’epoca il primo report di allarme sui materiali firmato dallo stesso Riccardo Morandi. Pochissimi dubbi, infine, sulla caduta del ponte, provocata da un cedimento dell’impalcato che ha poi prodotto la rottura degli stralli. In questa ricostruzione è fondamentale un video tratto dalle telecamere di sorveglianza di una società. Per questo fin da subito la Procura ha ritenuto inutile l’ultimo video reso pubblico ieri e tratto dalle telecamere di Autostrade che non riprendono la caduta perché non posizionate sul punto. Nessun rilievo, infine, viene dato al presunto giallo del black out delle telecamere stesse e ritenuto dalla polizia invece un normalissimo e ragionevolissimo guasto tecnico. Insomma, la prima fase dell’indagine sul Morandi è chiusa. Ora si attende solo la lunga lista degli indagati.