Meglio lasciarlo tranquillo, lo zio Ovidio Marras. Anche ora che sa di aver vinto la sua battaglia contro gli immobiliaristi della Sitas, la società proprietaria del cantiere da 150 mila metri cubi che rischiava di cancellare, insieme al vecchio stradello del suo podere, un angolo di paradiso nella Sardegna Sud-Occidentale, fra Capo Malfatano e Tuerredda. Il 18 agosto il Tribunale di Cagliari ha decretato il fallimento della società, partecipata dai gruppi Benetton, Toti e Montepaschi di Siena che sulla costa ancora vergine, a trecento metri dal mare avrebbe voluto realizzare un gigantesco resort con piscine, centri benessere, ville. Operazione andata in fumo per la caparbietà del vecchio pastore (88 anni) che come un piccolo Davide si è opposto, rifiutando anche un assegno da 700 mila euro, al gigante Golia le cui costruzioni avrebbero imposto la deviazione dell’accesso alla sua proprietà.
Marras, visti i primi lavori per la struttura da 500 posti, aveva subito interpellato un avvocato, accendendo una causa civile per il ripristino del tracciato del suo terreno cancellato dal cemento. A nulla erano valse le argomentazioni della società che opponeva l’interesse superiore dei lavori a quello del mantenimento della stradina di campagna: il giudice aveva riconosciuto le ragioni del pastore, comproprietario dell’area, ordinando la demolizione di quanto costruito, compresi cancelli e recinzioni. Era l’inizio della grande battaglia, a cui si è affiancata anche Italia Nostra con un ricorso che aveva portato all’annullamento delle precedenti autorizzazioni regionali a costruire, considerate illegittime a causa dello “spacchettamento” del progetto in cinque lotti che aveva consentito di aggirare l’autorizzazione d’impatto ambientale. Dal Tar al fino al Consiglio di Stato, tutti i gradi di giudizio hanno confermato le ragioni di Marras e lo stop al cantiere, fino all’epilogo di pochi giorni fa.
Ma il fallimento della Sitas potrebbe rivelarsi una vittoria a metà, come spiega la nipote di Ovidio, Consolata. Perché la Sitas ha costruito su terreni che sono in comunione dei beni, gravati dalle ipoteche a suo tempo accese dalla società e che ora pesano, paradossalmente, anche sul vecchio podere dei Marras. Poi ci sono i danni: i muri grezzi sono ancora lì, e non si sa chi li dovrà demolire. “L’incertezza è tanta e occorre continuare a vigilare” spiega Maria Paola Morittu, responsabile di Italia Nostra Sardegna “ e intanto c’è la causa contro la Regione”. E c’è un’altra incognita: “Siamo davvero sicuri che il progetto non vada più avanti o c’è il rischio che qualcuno lo riprenda? Il progetto uscito dalla porta potrebbe rientrare dalla finestra se si ripescasse il contestatissimo articolo 43, stralciato a luglio dall’esame della nuova legge Urbanistica della Sardegna”. L’articolo infatti prevedeva l’introduzione di deroghe specifiche al Piano Paesaggistico regionale nel caso di “grandi progetti di rilevanza economico-sociale”, da valutare caso per caso. Un vulnus che riaprirebbe le porte ai grandi speculatori immobiliari nell’Isola.