Mi sono occupato per molti anni di rapporti con la Cina, per conto della Gran Bretagna, come accademico, uomo d’affari e diplomatico. E mi sono sempre fatto la stessa domanda: cosa vuole la Cina da noi? Cosa pensano i cinesi? Che visione hanno del ruolo della Gran Bretagna nel loro mondo? Lo stesso tipo di dibattito si sviluppa in altri Paesi: in Europa, Asia e Nord America bisogna rispondere a questi quesiti per affrontare l’ascesa prima economia e ora geopolitica della Cina.
Parte della complessità di confrontarsi con queste nuove potenze è la confusione su che cosa sia esattamente la Cina – una tradizionale potenza asiatica confuciana, una minaccia geopolitica di marca marxista-leninista, uno Stato che subisce le regole della globalizzazione o uno che le detta? Le stesse domande che oggi molti si fanno a proposito degli Stati Uniti sotto Donal Trump, con tutte le loro fratture interne. E sono dubbi che riguardano anche altri Paesi d’Euopa. Nel caso della Gran Bretagna, con la Brexit, si è capito che gli inglesi non hanno le idee chiare neppure su chi siano e che ruolo debbano avere loro stessie La spaccatura tra la parte più isolazionista e tradizionalista della società (di solito anche quella più rurale e anziana) e il resto è diventata all’improvviso evidente a tutti.
In questo contesto il rapporto con la Cina finisce per diventare un sottoinsieme delle questioni identitarie interne. La differenza nella visione del mondo e nei valori politici e culturali della Cina, che mai come ora possono influire anche sulle nostre vite, ci costringono a chiederci non soltanto chi sono loro, ma anche chi siamo noi.
Dopo aver avuto a che fare con la Cina per 25 anni ho imparato alcune cose. Negli ultimi decenni i cinesi sono stati isolati, ai margini dell’economia mondiale, cercando disperatamente di recuperare terreno. Come in tutte le relazioni asimmetriche, sentendosi più deboli degli altri hanno sempre cercato di sapere il più possibile di un mondo che invece di loro si curava poco. Questo non significa che la maggioranza dei cinesi sia esperta di Gran Bretagna, America o Australia, ma hanno sempre coltivato una certa curiosità e un livello di conoscenza di base, in molti casi anche della lingua, che semplicemente non è reciproco. Ci sono 200 milioni di cinesi che studiano inglese e soltanto 3000 inglesi che studiano cinese. Anche considerando le percentuali della popolazione il confronto è impietoso.
Ci sono gruppi di occidentali – nel governo, nell’impresa, nella società civile – che hanno bisogno di informarsi sulla Cina e hanno maturato una eccellente competenza. Ma a parte loro c’è ben poco e il dibattito specialistico e accademico sulla Cina scoraggia tutti i non iniziati. Ma questi sono problemi superficiali che possono essere risolti in tempi ridotti con l’istruzione. La vera questione è stabilire quale ruolo vogliamo che abbia la Cina nelle nostre vite. Fenomeni come la Brexit dimostrano un diffuso desiderio di semplificare il mondo, di ritirarsi all’interno delle barriere di un senso condiviso di identità nazionale. In molti hanno difficoltà a confrontarsi con l’Unione europea, percepita come distante e poco comprensibile, figuriamoci quanto può essere difficile immaginare un modo di convivere con una potenza come la Cina che emerge da un passato e da una storia così radicalmente distante.
La conclusione a cui sono giunto è che la questione davvero preoccupante è che abbiamo scelto l’indifferenza verso la Cina come opzione di default. Non pensiamo che meriti abbastanza attenzione: è troppo remota, strana, indecifrabile, anche se i suoi studenti riempiono le nostre università e i suoi prodotti i nostri negozi, i suoi turisti i nostri aeroporti. Gli inglesi, e gli altri europei, sono a loro agio soltanto con una Cina quasi invisibile, ed è così che la vogliono.
Curare questo approccio mentale non è facile perché non implica soltanto più studio, ma un completo cambio di prospettiva e rimettere in discussione la nostra stessa identità. L’idea che l’Europa rappresenti valori assoluti di libertà, pragmatismo e virtù democratica mentre la Cina si muove su un piano morale inferiore è il grande non-detto nel nostro atteggiamento verso la Cina. E affrontare questo punto ci costringe a fare qualcosa che finora siamo sempre riusciti a evitare: ridimensionare i nostri valori e la nostra percezione di noi stessi.
C’è un detto apocrifo attribuito a Confucio: l’apprendimento è efficace in tre modi, imitando qualcuno individuato come modello, e questo è molto più efficace; attraverso la lettura, che è il modo più superficiale; oppure con l’esperienza, che è il più duro. L’esperienza sarà la via attraverso la quale la Gran Bretagna dovrà definire un nuovo rapporto con la Cina dopo la Brexit. E il resto del mondo starà ad osservare come andrà. Può trasformarsi in una faticosa ma istruttiva lezione per tutti gli altri. Per capire che per conoscere davvero gli altri, è meglio prima conoscere se stessi per evitare che siano gli altri a insegnarci chi siamo davvero.