Mentre il TgLa7 rompe la tregua estiva dei sondaggi e comunica che la Lega ha abbondantemente scavalcato i 5Stelle – piazzandosi oltre il 32% (il loro risultato del 4 marzo) e staccandoli al 28,3 e rubando 4 punti a Di Maio e 4 a B. – e che comunque la maggioranza cresce e l’opposizione si assottiglia – penso all’ultimo dibattito della nostra bella festa alla Versiliana: quello sulla verità perduta nell’era del web.
“I social – ha detto Milena Gabanelli – sono un ottimo vivaio perché consentono ai giornalisti di non lavorare, tanto c’è una sparata al giorno da riprendere per costruire pagine. Anni fa le chiacchiere da bar restavano tali, ora anche l’ultima dichiarazione dell’ultimo segretario dell’ultima sezione di provincia ha una grande potenza. Dovrebbe finire in un trafiletto di due righe a pagina 46, invece spesso diventa l’apertura dei giornali. A quel punto ci indigniamo, ma poi continuiamo a ravanare tra queste sparate”. Enrico Mentana ha obiettato: “Un conto è ravanare nei tweet dell’ultimo segretario di provincia o di un parlamentare semisconosciuto, un conto è prendere atto della mutazione genetica dei codici politici. Una volta i giornali dovevano fidarsi di addetti stampa che rilasciavano frasi sussurrate o dichiarazioni ufficiali. Ora, dall’uomo più potente del mondo, cioè Donald Trump, in giù si usa direttamente il social network per dire una cosa e a quel punto è lì scolpita, non la cancelli più. E su quello il giornalista si basa come 30 anni fa sulla relazione a un congresso di partito. Infatti il candidato alla segreteria del Pd Nicola Zingaretti dice: ‘Dobbiamo essere il primo partito sul web’. Questo ci dà l’idea della distorsione in corso: conta più la piazza virtuale di quella reale, lo slogan del progetto”.
Noi, come i lettori sanno, releghiamo la politica chiacchierata o cinguettata nei trafiletti a pagina tot (vedi rubrica “Il Cazzaro Verde” che raccoglie le flatulenze verbali del cosiddetto ministro dell’Interno). Ma i pastoni e i panini dei tg e spesso le prime pagine dei giornaloni si nutrono di quella, e i risultati si vedono. Se, come diceva Umberto Eco, sul web la parola di un premio Nobel vale quanto quella dello scemo del villaggio, la sparata di un consigliere comunale vale quanto la parola (peraltro rarissima, dall’avvento di Conte) del presidente del Consiglio. Il quale viene accusato di non esistere e non far nulla solo perché non straparla ogni due per tre, mentre il consigliere comunale pirla diventa una star e si apre un dibattito sul perché il premier non prenda subito le distanze dallo scemo del villaggio. Non tutte le esternazioni di tutti i politici vanno ignorate.
Se Salvini, che non sembra ma è il vicepremier, annuncia che il governo non sforerà il tetto del 3% o che la nave Diciotti non può sbarcare, la notizia c’è tutta. Ma se insulta Asia Argento o Michele Riondino, chissenefrega. Invece lui litiga con Asia e Riondino proprio perché sa che verrà “ripreso” in pompa magna come quando parla del 3% o della Diciotti, giornali e tv apriranno il “dibattito” e lui si sarà guadagnato la fama del leader e ministro più attivo, anche se è il più assenteista e il meno produttivo (al Viminale lo vedono di rado, come prima a Bruxelles, e non è detto che sia una disgrazia). Finora non i risultati (piuttosto scarsini, viste le aspettative), ma i sondaggi gli hanno dato ragione: anche perché non solo la politica delle sparate via Twitter o in diretta Facebook funziona, ma anche perché tutti lavorano per lui (giornaloni, tv, oppositori, intellettuali, persino magistrati). Tant’è che in tre mesi s’è mangiato quel che restava di Forza Italia e nell’ultimo mese ha iniziato a sbocconcellarsi anche gli alleati grillini, che fino a luglio avevano tenuto botta. E questo dipende dalla sovraesposizione che un po’ si conquista da solo e un po’ i media gli regalano, ma anche dalla diversità del suo elettorato vecchio e nuovo rispetto a quello degli altri partiti maggiori. Un elettorato che ricorda molto (e in parte è) quello del berlusconismo arrembante e trionfante: gente di bocca buona e stomaco forte, poco informata e molto credulona, che al suo leader consente di tutto e perdona tutto. Non esige né coerenza, né efficienza, né legalità: chiede soltanto parole forti, toni alti e pugno duro, anche a saldo zero.
Scandali come quello dei 49 milioni di soldi pubblici scomparsi dalle casse della Lega danneggerebbero il Pd e distruggerebbero i 5Stelle, mentre Salvini se ne avvantaggia persino, raccontando di non saperne nulla, di essere vittima dei giudici e venendo creduto. Idem per la scoperta del suo voto favorevole, nel 2008, con tutta la Lega e FI, alla proroga della concessione autostradale ai Benetton, con continui rialzi dei pedaggi: lui lo ammette, lo rivendica e nessuno gli sputa in faccia se ora contesta quella concessione da scandalo che porta anche la sua firma. Durerà, la bolla del Cazzaro? Per B., salvo rari intervalli, durò oltre 20 anni, anche per l’inettitudine, la cialtronaggine, la complicità del centrosinistra. Ora, per Salvini, la situazione è un po’ diversa. Gli unici rivali in grado di impensierirlo non sono all’opposizione, ma al governo con lui: i 5Stelle. Se pensassero – come ogni tanto sembrerebbe – di recuperare terreno e rubargli la scena strillando più forte di lui, avrebbe già perso in partenza: quanto a decibel, non c’è chi lo valga. L’unica strada, anche se più lunga, tortuosa e impervia, è quella della serietà, della concretezza e dell’efficienza: studiare molto, parlare poco e ottenere risultati (come la legge, ottima, contro la corruzione presentata ieri dal ministro Bonafede, con la radiazione dei corrotti e l’agente sotto copertura per smascherarli). Vedi mai che, alla lunga, anche il Paese dei creduloni e dei cazzari torni a premiare i fatti al posto delle ciance.