Cerco un centro di gravità permanente, come colonna sonora della Festa del Fatto Quotidiano. Perché il sentimento che abbiamo colto tra le tante persone accorse alla Versiliana era quello scolpito da Franco Battiato nel suo capolavoro. Un verso che non vorremmo usare fuori contesto (e quindi a sproposito) ma che ci consente di cogliere un senso diffuso d’incertezza per ciò che è. E di attesa per ciò che sarà. Parliamo, è chiaro, del momento politico che non è più quello che nelle feste precedenti ci aveva fatto arrabbiare, indignare, sorridere, addirittura sghignazzare alle prese con i vari Berlusconi, Monti, Renzi. Ma che oggi ci coglie impreparati di fronte a qualcosa che è sicuramente cambiato, ma non sappiamo bene se in meglio.
È il giudizio sospeso sul governo Salvimaio che Andrea Scanzi e Marco Travaglio hanno declinato nei loro spettacoli, attraverso l’esercizio della cronaca e del discernimento senza pregiudizi (questo ci sembra giusto, questo no). Con tutti i limiti di chi cerca di osservare faticosamente la realtà, e non con le facili scorciatoie del partito preso.
A pensarci bene non sono in fondo queste le due Italie destinate sempre di più a fronteggiarsi? Da una parte quella che ha eletto a proprio condottiero, e a scatola chiusa, Matteo Salvini, oggi valutata nei sondaggi oltre il 30 per cento ma che annettendosi ciò che resta di Forza Italia e la destra della Meloni può in prospettiva toccare e superare il 40. Di fronte c’è un’altra Italia, ancora magmatica, non strutturata in un fronte organizzato. Che ha votato soprattutto per due partiti, M5S e Pd, tuttavia l’un contro l’altro armati. E dunque priva di un programma, di un capo, di un nemico comune da affrontare in battaglia. Forse incerta sul da farsi, ma che non ha portato il cervello all’ammasso. Che si è sentita tradita dalla sinistra ma che pensa e reagisce “a sinistra” davanti allo scempio umanitario dei migranti sequestrati sulla Diciotti. Che giudica intollerabile che in un Paese tra i più progrediti al mondo ci siano cinque milioni di poveri. Un’Italia unita da un verso che questa volta prendiamo in prestito da Eugenio Montale: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Sì, Matteo Salvini.
Questa comunità trasversale si è in qualche modo ritrovata lunedì scorso in quel di Ravenna, alla festa nazionale del Pd che ha accolto e applaudito Roberto Fico, presidente della Camera e militante Cinque stelle della prima ora. Vista la consonanza tra palco e platea sui temi sensibili della sinistra – dall’accoglienza all’acqua pubblica – qualcuno ha scritto che il Pd ha trovato in Fico il vero candidato alla segreteria.
Nessuno purtroppo può farsi illusioni su possibili future alleanze M5S-Pd, stante l’ostilità tra i due vertici continuamente alimentata con astioso vigore (oggi pensare a una convivenza Renzi-Di Battista è roba da film horror). Eppure, a questo diario, Pietrasanta e Ravenna non sembrano poi così lontane. La stessa attenzione nell’ascoltare idee diverse. La stessa cortesia nell’accogliere gli ospiti giunti dal campo opposto (Delrio critico con il “compagno che sbaglia” però mai polemico). Spesso lo stesso linguaggio aperto alla comprensione dell’altro. Nella ricerca di un centro di gravità, ci piacerebbe un’Italia che sapesse cambiare idea sulle cose, sulla gente. Per arrivare a scegliere tra l’Italia di Fico e quella di Salvini. Ma forse vaneggiamo.