La notifica della Consob è arrivata in questi giorni al numero uno di Telecom Italia Amos Genish ed è per lui una buona notizia. L’authority per i mercati finanziari ha infatti deciso di archiviare il procedimento sanzionatorio a carico del colosso telefonico che era stato accusato l’anno scorso di irregolarità nelle trattative con Canal Plus (controllata dal suo azionista Vivendi) per una joint venture in conflitto d’interessi. E qui finiscono le buone notizie, perché dietro una vicenda apparentemente minore c’è il caso esplosivo del presidente della Consob Mario Nava che rischia di mettere in ulteriore serio imbarazzo il governo Conte.
Nava, a quanto raccontano i bene informati, avrebbe imposto alla Commissione, facendo valere il suo voto doppio, un’inopinata archiviazione per un fascicolo che gli uffici avevano trasmesso ai vertici con proposta di sanzione. Lo stesso Giovanni Diele, l’avvocato 34enne a cui il capo dello studio Andrea Zoppini aveva affidato la pratica e che ha portato a casa una vittoria a sorpresa, si era appellato alla clemenza della corte, protestando la buona fede della Telecom. Del resto le irregolarità erano palesi, e denunciate in corso d’opera prima dal consigliere indipendente Lucia Calvosa, presidente del comitato consiliare Controllo e rischi di Tim, e poi addirittura dal collegio sindacale del gruppo telefonico con una segnalazione alla stessa Consob.
Doverosa parentesi. In Italia la democrazia è ostaggio dell’arma totale in mano a magistrati e burocrati: il segreto d’ufficio. Può accadere, com’è accaduto, che il collegio sindacale di una grande società quotata segnali alla Consob un illecito ai danni gli azionisti e del mercato; che la Consob indaghi per mesi su questa presunta irregolarità e la segnali a sua volta alla procura della Repubblica; che la commissione decida con un voto di misura l’archiviazione e che tutto il fascicolo venga secretato perché così dice la legge. Gli azionisti della Telecom non sapranno mai di che cosa era accusata la società, quali elementi avevano raccolto gli inquirenti e per quali ragioni sia stata decisa l’archiviazione. Anzi, per la precisione, alla Consob è vietato dalla legge dare notizia della stessa archiviazione.
Le voci però corrono, almeno fino a quando non saranno vietate anch’esse per legge. Dicono che dei cinque commissari Consob due erano a favore della sanzione (Giuseppe Maria Berruti e Paolo Ciocca), due contrari (il presidente Nava e Carmine Di Noia) mentre la quinta, Anna Genovese, non ha partecipato alla votazione perché in missione altrove. Peraltro la sua partecipazione al voto sarebbe stata in sé imbarazzante perché, prima di diventare commissaria Consob, ha militato come consulente dello studio di Zoppini. In ogni caso Nava ha fatto valere il suo voto doppio in caso di parità e così il procedimento a carico di Telecom Italia ha subito un fenomeno di tipo soprannaturale, difficilmente definibile tecnicamente. Potremmo chiamarlo svaporamento nell’iperuranio dell’inconoscibile.
La mossa di Nava ha fatto felice il potente Zoppini proprio in un momento critico per la presidenza Consob, che è stata attribuita dal governo Gentiloni ignorando la violazione delle norme costituita dal rifiuto di Nava di mettersi in aspettativa (come prescrive la legge) da dirigente della Commissione europea.
La vicenda non è infatti avulsa da un dettaglio di scenario raccontato nel giugno scorso da Emiliano Fittipaldi sull’Espresso: quando il presidente Sergio Mattarella si sentì proporre Giuseppe Conte come premier, non sapendo chi fosse, chiese al fidato presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno e “al gruppo di professionisti e grand commis di Stato capeggiato da Giulio Napolitano, figlio del presidente emerito Giorgio, e dall’avvocato Andrea Zoppini, entrambi grandi amici del figlio di Mattarella, Bernardo Giorgio”. E proprio ieri sera Nava è tornato sull’argomento con parole quasi sprezzanti, ostentando la sicurezza di chi si sente le spalle super coperte: sulla sua nomina, ha detto, sono intervenute “quattro istituzioni, validando l’atto”, ed è la stessa linea autorevomente sostenuta sul Corriere delle Sera da Sabino Cassese, maestro e nume tutelare dei nuovi potenti Napolitano jr e Zoppini. Poi Nava ha aggiunto: “Due mesi fa Conte mi ha chiesto i documenti, che gli ho dato. Da allora non ho più saputo niente, presumo vada tutto bene. Io vado avanti, sono tranquillissimo. Dimettermi? Nessuno me lo ha chiesto, io faccio il mio lavoro, bado alla sostanza”. Quanto ai malumori soprattutto del mondo Cinquestelle, Nava li ha liquidati così: “Se ci fosse qualcosa, credo che me lo avrebbero detto. Trovo ridicolo che si parli di una polemica da sei mesi. Ci sono stati tutti i chiarimenti possibili, ma la polemica continua”.
Nelle prossime ore sapremo se la sfrontata fiducia nella debolezza (o nella complicità) del premier Conte è stata ben riposta. Intanto Nava continua a presiedere la Consob, come dichiarato dal commissario Gunther Oettinger, “comandato nell’interesse della Commissione europea”.