“Il Cda Rai – tuona il ministro Giuliano Ferrara il 25 giugno 1994 – non gode della fiducia del governo. La sua esperienza è in via di esaurimento”. Il presidente della Vigilanza Francesco Storace chiede per la Rai “una nuova Norimberga”. Il 27 giugno il premier B. boccia il piano triennale di risanamento proposto dal Cda: “Un piano scandaloso”. Ma, visto che i “professori” non si dimettono, il 31 giugno il governo li licenzia in tronco con un emendamento di cinque righe al decreto salva-Rai.
Il nuovo vertice di Viale Mazzini è di stretta osservanza berlusconiana. Presidente Letizia Moratti, che tiene subito a precisare come “la Rai dev’essere complementare a Fininvest”, non più concorrente. Direttore del Tg1 Carlo Rossella, proveniente da Panorama (Mondadori, gruppo B.). Direttore del Tg2 Clemente Mimun, proveniente dal Tg5 (Fininvest, gruppo B.). Direttori dei tg regionali e dei giornali radio, due giornalisti di FI: Piero Vigorelli e Claudio Angelini. Dg di Sipra (concessionaria pubblicitaria): Antonello Perricone, ex ad Publitalia, al posto di Edoardo Giliberti, che nel ’93 si è permesso di aumentare del 7% il fatturato. Dunque va punito.
Quanta bella pubblicità. Da quando B. è sceso in campo, molti dei suoi colleghi imprenditori pensano bene di ingraziarselo spostando gli investimenti pubblicitari da Rai a Mediaset. A raccontarlo sarà Calisto Tanzi, patròn della Parmalat, quando verrà arrestato e indagato per il mega-crac del suo gruppo: “Quando è stata fondata Forza Italia, sono stato chiamato da Berlusconi ad Arcore. Mi chiese se volessi entrare nel gruppo dei suoi sostenitori… Gli risposi che non era mia intenzione schierarmi con lui ufficialmente, ma ero disponibile a contribuire finanziariamente… Concordammo di utilizzare il canale della pubblicità per finanziare occultamente il nuovo partito… In parte trasferimmo quote di pubblicità Rai a Publitalia, anche se di tale circostanza non sono sicurissimo, ma certamente l’accordo con Berlusconi prevedeva che le tariffe degli spot non godessero di particolari sconti e/o promozioni così come un’azienda come la nostra, che aveva un budget così rilevante, era in grado di ottenere. Quando tornai in Parmalat, parlai con Barili, che era il capo del settore, dicendogli di favorire Mediaset, cosa che fece prendendo accordi direttamente con Dell’Utri… Questo comportamento, concordato con Berlusconi, è durato in tutti questi anni… Credo di poter quantificare il maggior costo della pubblicità da noi sopportato in dieci anni in circa il 5% di quanto ci ha complessivamente fatturato Mediaset per la pubblicità”.
Le indagini della Guardia di Finanza appureranno che il budget pubblicitario investito da Parmalat attraverso Publitalia è del 54% nel 1993, del 52% nel ’94, addirittura del 68.5% nel ’95. Nel ’96, anno della vittoria di Prodi, la percentuale s’inverte: il 53% passa attraverso la Sipra (la concessionaria Rai). Poi, con l’eccezione del 1998, tutto torna come prima. Publitalia fa la parte del leone, arrivando a raccogliere il 64.64% del fatturato pubblicitario Parmalat nel 2001 e addirittura il 74.7% nel 2003.
E non c’è solo Parmalat. Quando nel 2001 il Cavaliere torna a Palazzo Chigi, molti grandi inserzionisti aumentano gli investimenti su Mediaset, a discapito di Rai e carta stampata. Nel 2001 Telecom ritira dalla Rai 77,5 miliardi di lire, Nestlè 20, Fiat 9. Certo, a causa della crisi seguita all’attentato dell’11 settembre alle Torri Gemelle, quasi tutti i budget sono stati ridotti. Ma a Mediaset Telecom ha tagliato solo 40 miliardi, mentre la Fiat ha addirittura aumentato di 7 miliardi i suoi investimenti sulle reti del premier. E lo stesso ha fatto la Nestlè (più 5 miliardi). Scrive Giovanni Valentini: “Dai dati Nielsen relativi al periodo gennaio-novembre 2003, rispetto all’omologo periodo precedente, risulta che 82 aziende hanno distolto i loro investimenti dai quotidiani e 53 li hanno incrementati sulle reti del Biscione, sottraendo 100 milioni di euro ai giornali e trasferendone 50 alla tv privata. Nello stesso periodo, 72 aziende hanno distratto i loro investimenti dai periodici (per un controvalore di 65 milioni di euro) e ben 45, cioè il 62%, li hanno trasferiti in gran parte a Mediaset”.
Il bilancio della refurtiva. È così che – segnala l’Agcom – Mediaset ha visto salire i ricavi (composti esclusivamente da pubblicità) dai 1.497 milioni di euro del 1998 ai 2.157 del 2004, mentre nello stesso periodo gli introiti della Rai (pubblicità, canone e convenzioni) hanno avuto un singolare andamento ondivago: dai 2.101 milioni del 1998 ai 2.449 del 2000. Poi, col ritorno di B. a Palazzo Chigi, tutto s’è improvvisamente bloccato. I ricavi Rai sono anzi scesi di parecchio nel 2001, toccando la misera quota di 2.331 milioni. Più o meno stabili nel 2002 (2.385 milioni) e nel 2003 (2.405 milioni), hanno ripreso a crescere solo nel 2004 (2.545 milioni).
Poi c’è la pubblicità “istituzionale”, promossa dai vari ministeri con denaro pubblico: il governo B. finanzia le tv di B. con i soldi degl’italiani. Secondo Nielsen, per esempio, nel gennaio-marzo 2005 il governo spende in spot 5,3 milioni di euro. E quasi tutti (96.2%) in tv. Cioè su Mediaset, visto che sulla Rai quegli spazi sono gratis. Il tutto in barba alla legge Gasparri, che impone di destinare il 60% delle campagne istituzionali alla carta stampata.
Nel 2017 quattro economisti, in una ricerca che si aggiudica il premio per il “miglior studio di economia applicata” dall’American Economic Association, calcolano quanto ha guadagnato Mediaset nei 10 anni dei tre governi B. soltanto grazie al conflitto d’interessi politico-televisivo (“lobbying indiretto”), al netto delle innumerevoli leggi ad personam e ad aziendam: guadagni aggiuntivi (dunque indebiti) di 1,1 miliardi, anche a scapito della Rai, che ci ha rimesso almeno 194 milioni.
Ora il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti annuncia la revisione delle concessioni televisive e il sottosegretario pentastellato Vito Crimi un tetto alla pubblicità anche per le tv commerciali (che farebbe perdere a Mediaset 750 milioni all’anno). Subito B. invita a cena Salvini, che ne approfitta per incassare la sua retromarcia sul presidente della Rai Marcello Foa. In cambio di cosa, lo vedremo presto: dal destino delle concessioni tv, dall’eventuale tetto agli spot e dalla scelta del nuovo direttore di Rai Pubblicità. Intanto gli house organ del Biscione strillano all’“estorsione”. Ma, se mai cambierà qualcosa, la parola giusta sarà “restituzione”. Possibilmente con gli arretrati. E gli interessi.
•Qui la prima parte – IL RITORNO AL PASSATO. DA RICATTATORE A RICATTATO SUGLI SPOT IN TIVÙ