Salman Rushdie e la temutissima critica del New York Times, Michiko Kakutani, sono concordi: Sunjeev Sahota è un talento cristallino. Classe ’81 e sangue inglese, con L’anno dei fuggiaschi è stato finalista al Man Booker Prize, già in corso di pubblicazione in quindici Paesi. Sahota è fra gli ospiti internazionali di PordenoneLegge (oggi incontra i lettori presso l’Auditorium della Regione alle 17.30), raccontando le vicissitudini di Randeep, Avtar e Tochi, tre ragazzi indiani alla ricerca di un futuro in Inghilterra, una terra promessa in cui poter ricominciare daccapo. Ma il loro karma non muta e faranno i conti con lavori massacranti da irregolari, brutali umiliazioni e un cinismo contagioso. La forza di Sahota è proprio la capacità di raccontare i lati nascosti di ogni migrazione, ciò che siamo disposti a fare pur di sentirci finalmente liberi, rischiando di smarrire l’umanità.
Tre giovani ragazzi lasciano l’India pieni di speranza. Ma non ci sarà nessun lieto fine ad attenderli…
Ciascuno compie un proprio percorso. La nuova realtà costringe Randeep a riconoscere la violenza che porta dentro di sé, una presa di coscienza che sancisce il passaggio all’età adulta. Tochi, invece, finisce per abituarsi alla quotidianità massacrante, la vita per lui è una marcia inesorabile. Avtar è il personaggio che più di tutti mi spezza il cuore: inizialmente è il più determinato a lavorare senza risparmiarsi ma si indurisce rendendosi conto della distanza che separa le sue aspettative dalla realtà, diventando rancoroso e cinico.
Oggi si definirebbe un cittadino inglese pienamente integrato?
Non saprei dire cosa significa davvero ‘sentirsi inglese’. Mi sento come un uomo, un marito, un padre, un figlio, un amico e uno scrittore, forse questo è il mio modo di dire che non provo un forte senso di appartenenza nei confronti di una nazione. Il mio posto è alla mia scrivania o con la mia famiglia.
Cosa accadrà con la Brexit?
Il Regno Unito, per molto tempo, è stato il bambino capriccioso dell’Unione europea. Spero che la Brexit, se diverrà realtà, permetta all’Europa di sbocciare appieno.
Nel frattempo si moltiplicano i casi di razzismo in Inghilterra – e in Italia – fra pregiudizi e populismo. Cosa sta succedendo?
È stata data voce a razzisti, ai fascisti e ai suprematisti bianchi. Le loro idee vengono dibattute invece di essere denigrate, così facendo quelle opinioni vanno incontro a un processo di normalizzazione, entrano di diritto nella cultura mainstream. Sono molto preoccupato per l’avvenire.
Raccontando le storie di Randeep, Avtar e Tochi, si è chiesto se sia davvero possibile bloccare le migrazioni?
Migrare rientra tra i diritti umani, accade dalla notte dei tempi. Credo non ci sia alcun modo per fermarle, a meno che i paesi d’arrivo smettano di essere considerati una meta allettante per i potenziali migranti. Ma non accadrà.
Spesso i libri di area anglofona si concentrano su questioni di identità culturale. Come mai lei ha scelto di sottolineare le condizioni economiche disperate che molti lavoratori migranti devono affrontare?
La mia idea è che gli scrittori debbano scrivere di ciò che conoscono (o di ciò che pensano di conoscere). Le migrazioni appartengono alla storia recente della mia famiglia e sono state segnate dal duro lavoro, dal sudore, dalle fabbriche e dalle case con due camere da letto occupate da tredici persone. Volevo conferire dignità a queste storie nascoste, non limitarmi a riempire uno spazio vuoto su uno scaffale.