La prima campanella della mensa suona un quarto d’ora dopo mezzogiorno. Via Ettore Archinti, complesso scolastico Cabrini. Elementari e materna, qui a Lodi, a metà strada tra il centro e la città bassa. Le prime classi iniziano a scendere. Ragazzini ordinati dietro le maestre. La mensa è nel sotterraneo. Ambiente così e così, finestre a bocca di lupo lungo le pareti. A sinistra dell’ingresso della scuola, c’è una sala che nulla ha a che vedere con la mensa. Più che una sala, un’aula docenti, anche se prima era un magazzino. Le tapparelle sono abbassate, qualche disegno, appiccicato sugli armadi di metallo. In mezzo, due gruppi di banchi e tredici sedie, con altrettante tovagliette: la signora Anna ha apparecchiato da poco. Seduti ci sono 13 bambini, quasi tutti originari dell’Egitto, che da pochi minuti si sono messi a mangiare. Panini perlopiù, un po’ di verdura, qualche frutto: tutto cibo portato da casa. Sono 13 adesso. Nel secondo turno, ne arriveranno altri otto, di bambini.
Da due giorni è iniziata la mensa a scuola. Ovunque in Italia. E anche a Lodi. Ma qui le cose vanno diversamente. Almeno per questi 21 bambini. La mensa, quella tradizionale, per loro è blindata. Con tanto di guardiania a bloccare l’accesso. Vietato entrare.
Questi bambini sono tutti nati in Italia e tutti figli di immigrati. Sono figli di lavoratori, nel nostro Paese da molto tempo, alcuni da oltre vent’anni. Famiglie numerose, tre figli, a volte anche quattro. E uno stipendio che a metterlo insieme ora dopo ora, giorno dopo giorno, non supera gli 800 euro al mese, quando va bene. Devono pagare la retta più alta per la mensa e lo scuolabus, così dispone il Comune di Lodi. E se i loro genitori non ce la fanno, come nella maggioranza dei casi, la mensa salta. Per quasi 200 bambini in tutta la città.
Ma se guadagnano 800 euroa malapena al mese, come tante famiglie di italiani, perché non pagano tariffe agevolate? La risposta, tanto semplice quanto inquietante, sta in piazza Broletto, sede del Comune. Ai piani alti. Su su fino alla poltrona del sindaco. Casacca leghista da sempre, anche se è nel 2010 che Sara Casanova entra nel partito guidato da Matteo Salvini. Prima un po’ di gavetta, sempre a Lodi, poi nel 2013 il suo ingresso in Comune. Sarà eletta primo cittadino nel giugno del 2017. Qualche settimana dopo, firma una delibera del consiglio comunale che modifica una serie di articoli del “vigente regolamento per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate”. Fuori dai tecnicismi della pubblica amministrazione, e nella sostanza, si chiede agli stranieri, quelli non provenienti da Paesi non Ue e quindi extracomunitari, di portare, in aggiunta alla dichiarazione del reddito, anche le certificazioni di non possesso di case, conti correnti e auto nel loro Paese di origine. Documenti da recuperare in originale e per i quali non vale l’autocertificazione (pratica che invece resta in vigore per i cittadini italiani).
Tutto passa senza tanto clamore. L’anno scolastico è in corso, se ne riparlerà a settembre dell’anno successivo. E infatti oggi se ne riparla, e non poco. Il caso esplode. Qualcuno, sottovoce, parla di laboratorio Lodi. Fin da subito si comprende che dietro alla guerra di carte bollate, si gioca una partita politica tutta leghista e con un obiettivo chiaro: cacciare dalla scuola gli stranieri. E che la road map sia questa lo si comprende dalle carte e dagli obblighi: i documenti richiesti, infatti, sono da cercare al catasto dei vari Paesi, operazione quasi impossibile, costosa e da rifare ogni anno. In più non si chiede di certificare l’assenza di proprietà in una singola città, ma in tutto il territorio dello Stato di origine. Alla data del 7 settembre scorso, per il solo servizio mensa sono state presentate in Comune 132 domande: di queste 3, con documentazione ritenuta completa o ancora da valutare; 129 sono state invece rifiutate. Se si considera anche il servizio scuolabus, le domande salgono a 255. La delibera prevede una deroga solo per quattro Paesi per cui si ritiene impossibile avere accesso a tali documenti: Afghanistan, Libia, Siria, Yemen. Per definire questi Stati, è stato interpellato il ministero degli Esteri, che non ha risposto. Così il criterio scelto dal sindaco si basa su una lista di Paesi a rischio, stilata dalla società londinese Ihs Markit, ma sulla base di questioni relative agli scambi commerciali che non si capisce cosa centrino, come hanno sottolineato le opposizioni.
Niente documenti, niente mensa, insomma. “Chi vuole la tariffa agevolata per le prestazioni legate alla scuola deve portare la documentazione richiesta”, minimizza il sindaco. “Come deve fare chiunque. Loro, a maggior ragione, se vogliono integrarsi, qualche sforzo dovranno pur farlo, no?”. E intanto incassa la fiducia del governatore lombardo Attilio Fontana e dell’assessore regionale al Territorio, Pietro Foroni. Ma non pare il classico adagio leghista, “Prima gli Italiani”. Qui siamo al niente più bimbi stranieri a scuola, perché se la delibera non dovesse cambiare, il risultato è certo. E non è cosa da poco, fa notare un dirigente scolastico di Lodi che chiede l’anonimato. “Noi abbiamo il tempo pieno alle elementari, e la mensa è parte integrante del percorso didattico: è un obbligo oltreché un diritto”. E così Lodi, dopo la bufera giudiziaria sui comitati d’affari che ha portato a processo l’ex sindaco Pd Simone Uggetti, ora si ritrova agli onori delle cronache come città razzista e poco incline all’integrazione.
“L’anno scorso pagavo 1,20 euro al giorno per la mensa, ora dovrei pagarne oltre sei”. Saber viene dall’Egitto, è in Italia dal 1999. “Fino al 2013 ho sempre lavorato e ho sempre pagato le tasse qui, non certo in Egitto. Oggi vivo con un contratto di 16 ore settimanali, circa 800 euro al mese, finchè dura”. In casa, la moglie e tre bambini. Per ognuno, c’è la mensa e lo scuolabus che, con le tariffe più alte, costa 220 euro al mese per il primo figlio, 110 per il secondo, 95 per il terzo: 425 in totale ogni mese. Mohammed, di figli, ne ha uno. Attualmente in cassa integrazione, a volte lavora a Montanaso lombardo. “Anche mia figlia per ora porta il pasto da casa… non possiamo permetterci diversamente”.
Ma dalla prossima settimana, forse, niente più schiscetta in tutte le scuole di Lodi. Non che il pasto da casa verrà vietato in via generale, ma bisognerà seguire direttive precise imposte dall’Azienda sanitaria lombarda: “Dovrà anche essere valutata la modalità e il luogo di conservazione degli alimenti in attesa di essere consumati”, si legge. Ci vogliono insomma i frigoriferi. E i frigoriferi vanno comprati, e dunque? Il Provveditore scolastico di Lodi Iuri Coppi giovedì scorso, durante un incontro con i dirigenti delle varie scuole, ha proposto di imporre al Comune l’acquisto degli strumenti per la conservazione del cibo, perché non si può mandare a casa i bambini, soprattutto quelli di prima elementare, che iniziano ora il loro viaggio scolastico: è il suo ragionamento.
Le mamme di bimbi stranieri restano pessimiste. “Così andrà a finire che mio figlio a scuola non ci andrà – inizia Aisha, mamma egiziana di tre figli – e dovrò andarli a prendere, portarli a casa, farli mangiare, riportarli in classe”. Il tutto senza scuolabus, perché pure per quello dovrebbe pagare la retta massima. Le storie si accavallano una dopo l’altra. Si parla seduti ai tavolini dell’associazione Al Rahama, in via Borgo Adda. Sono le 10 del mattino. Oltre ai genitori, ci sono alcuni bambini che oggi a scuola non sono andati. L’associazione è elemento di raccordo per le famiglie, tante, almeno 150, che stanno protestando. Sono arrivati fin sotto il Comune, sabato scorso, in piazza. Breve incontro col sindaco e fumata nera: Sara Casanova va per la sua strada. Partono così i ricorsi, non al Tar, ma al Tribunale ordinario di Milano: azione civile contro la discriminazione, una discriminazione su basa etnica, dicono i legali dell’Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, e del Naga. Si punta il dito proprio sulla legge, applicata in modo erroneo, secondo Asgi e Naga che stanno raccogliendo i ricorsi. La legge a cui si fa riferimento è il Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri (Dpcm) del 2013, in relazione alla dichiarazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente-Isee, dove si prevede che l’autocertificazione valga sia per gli italiani sia per gli stranieri: “Senza alcuna distinzione”. Lo dimostra anche il caso di Voghera, altra città lombarda, dove nel 2013 una delibera identica a quella di Lodi era stata approvata, salvo poi essere modificata proprio in virtù della nuova disciplina statale in materia di Isee (il Dpcm del 2013) secondo cui le componenti reddituali – patrimonio all’estero compreso – vengono assoggettati ad autocertificazione.
I ricorsi a Lodi sono già partiti, e se il Comune dovesse perdere rischierebbe la bancarotta. Ma il sindaco prosegue: “La legge italiana non ammette autocertificazioni”. E il Dpcm del 2013? Chi ha ragione si vedrà. Nel frattempo il Comune ha già deliberato una cifra importante – circa 10 mila euro – per la difesa legale. Segno che qualche dubbio ai piani alti di piazza Broletto esiste.
Nell’attesa di una soluzione, resta il dato: oggi molti bambini a Lodi vengono discriminati, e rischiano di non andare più a scuola. Pur essendo nati qui, in Italia. Il Coordinamento uguali doveri, che riunisce opposizioni e società civile contrari all’iniziativa del sindaco, chiede alle famiglie comunque di iscriversi nella fascia più alta. Al denaro ci penserà un conto corrente comune. Il segnale che non tutta Lodi sta con il sindaco. Come il gruppo di genitori italiani che ha lanciato una raccolta firme contro la delibera, o gli hacker di AnonPLus che giovedì mattinata hanno bucato il sito della Provincia “chiedendo – si legge su Twitter – di prendere provvedimenti verso la sindaca del comune di Lodi che se la prende con i bambini”. Il primo cittadino del Carroccio di discriminazione e scelte criticabili pare intendersene. Oltre al caso mense, a inizio anno ha modificato il regolamento della Polizia locale allargando il Daspo urbano anche ai venditori ambulanti di fiori e di accendini. L’8 marzo scorso, per esempio, per la festa della donna, vigili in borghese hanno sequestrato 200 mazzi di mimose, e comminato multe per 3mila euro. L’intera vicenda è stata oggetto di conferenza stampa con le mimose esposte sul tavolo come panetti di cocaina colombiana purissima. Fiori e bambini. Qualcosa qui a Lodi non pare funzionare.