Luigi Di Maio, ministro, vicepremier, capo politico e chissà cos’altro, ha un immaginario linguistico in cui, nei casi migliori, si fondono reminiscenze bibliche, godimenti rabelaisiani e un po’ delle furie classicheggianti di Mario Appelius: il momento è sempre “storico”, gli avversari sono “assassini politici”, qualunque cosa si fa è “del popolo” o almeno “del cambiamento”. […]
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