“Se nel sistema americano qualcuno si fosse alzato e avesse detto: ‘Ho inventato un sistema bancario e funziona così: le banche in Illinois detengono i bond statali dell’Illinois come liquidità priva di rischio e, se si trovano nei guai, i depositi saranno garantiti dalla compagnia assicurativa statale dell’Illinois’, lo avrebbero preso per pazzo, perché avrebbe creato un rischio correlato”. E cioè uno dei peggiori mali del sistema finanziario, soprattutto italiano. Almeno secondo Adair Turner, presidente dell’Institute for New Economic Thinking ed esperto di crisi sistemiche cui il governo britannico affidò la guida della Consob inglese (la Fsa) negli anni del crac Lehman Brothers. Nei giorni in cui la nota di aggiornamento del Def era ancora in gestazione, Turner ha preconizzato l’acuirsi del rischio sistemico in Italia, avvenuto in questi giorni.
Alla base di tanta preoccupazione, l’effetto perverso generato da legami troppo stretti tra il debito del Paese e il sistema finanziario nazionale. In parole povere è un po’ come tenere insieme bancomat e pin. L’intera questione traslata in Europa e a Roma è ancora più inquietante, visto che, secondo Turner, i titoli italiani o francesi non sono paragonabili a quelli statunitensi o giapponesi, ma, al massimo a quelli dell’Illinois o della California. Questo perché l’Unione non e completa, ma assomiglia piuttosto a una federazione. Dove i singoli Stati non hanno totale autonomia.
Turner parla di una sorta di difetto di fabbrica che è stato fatto “nel valutare le conseguenze del passaggio all’euro”, giacché “il debito sovrano è diventato non più così sovrano”. Ma i sistemi finanziari nazionali sono rimasti legati ai titoli del debito pubblico creando un sistema di rischio correlato che oggi spaventa gli investitori internazionali. “La logica dell’euro è che le banche italiane non dovrebbero avere nessun titolo pubblico italiano. Dovrebbero avere un portafoglio diversificato di altri titoli di Stato, preferibilmente della zona euro, ma non italiani. Dovrebbero avere titoli non correlati con la propria attività – sostiene Turner –. È un problema fondamentale ed è parte della questione che sta sullo sfondo: nel creare l’euro non si è ragionato abbastanza sulle relazioni tra la valuta federale a livello europeo e il sistema bancario”.
Eppure, in passato, proprio negli Usa è stato dimostrato che il meccanismo così non funziona. “Negli States, fino a quando le banche sono rimaste al livello dei singoli Stati e non a livello federale, il sistema era profondamente instabile – prosegue –. Ha prodotto le crisi bancarie catastrofiche degli anni 20 e 30 del 900. Oggi le più importanti banche degli Usa sono federali e il loro portafoglio titoli si basa su titoli di debito del governo federale”. Tradotto in lingua europea, questo significa che “fino a che non saranno creati gli Eurobonds, i titoli condivisi dell’Unione europea, avremo un sistema instabile”. E intanto non esistono stress test per le banche sui titoli di Stato. “Non abbiamo voluto ammettere che il debito sovrano avrebbe potuto trovarsi sotto stress – riconosce Turner – se avessimo ammesso, ad esempio, che le banche spagnole avevano bisogno di essere ricapitalizzate, se ne sarebbe dovuto far carico il governo spagnolo, emettendo più debito. Il che sarebbe stato ancora più rischioso, creando un cortocircuito tra il rischio sovrano e quello bancario. La sola risposta possibile sarebbe stata spostare la risoluzione della banche a livello di eurozona, per creare fondi a quel livello, così che la banca centrale europea potesse emettere moneta e ricapitalizzare le banche spagnole”.
Per Turner infatti la questione è semplice: “Non è possibile che l’ultima garanzia del sistema bancario sia uno Stato che non emette valuta propria e i cui titoli di Stato perciò hanno una probabilità di default che non è pari a zero. È un sistema instabile”. Il punto è che però in Europa nessuno ha intenzione di sollevare la questione. Le banche sono infarcite di titoli di Stato e il rischio correlato resta un argomento di cui nessuno vuole parlare.