Dopo il fatale annuncio del 2,4%, Luigi Di Maio si affaccia al balcone e annuncia l’abolizione della povertà. Matteo Salvini dice che a quell’ora stava già a letto. Di Maio si scaglia contro Pd, Forza Italia (“nemici dell’Italia”) e il “terrorismo mediatico sullo spread”. Salvini: “Lo spread ce lo mangiamo a colazione”. Mattarella chiede l’equilibrio dei conti e subito il sottosegretario grillino Manlio Di Stefano lo accusa di “scoraggiare gli investitori” (poi si corregge). Invece Salvini: “Mattarella? Rispetteremo tutto quello che dicono tutte le carte”. Di Maio definisce “assassinio politico” il Jobs act del governo Renzi, e “aguzzini” quelli che “c’erano prima” a Palazzo Chigi. Salvini manda “bacioni” agli avversari. Di Maio sembra perennemente in trincea con elmetto e fucile caricato a pallettoni. Mentre Salvini riceve sorridente l’omaggio di Latina e del presidente di Confindustria Boccia. Di Maio ha Casalino. Salvini l’“autorevole” Giorgetti. Salvini cresce nei sondaggi. Di Maio no. E adesso una domanda: tra i due chi vi sembra stia mostrando la strategia più efficace?
I vicepremier hanno ragione da vendere quando affermano che la maggioranza gialloverde è solida. Che chi spera di dividerli non ha capito niente. Che questo governo non ha alternative. Ma c’è un punto politico di fondo, che supera i prevedibili (e superabili) scossoni sulla manovra economica e di bilancio. Riguarda la competizione tra M5S e Lega. Che ha un orizzonte decisivo e inevitabile: il voto europeo del maggio 2019.
A meno di non ritenere che il contratto di governo possa trasformarsi in un’alleanza strutturata e in un blocco elettorale per i prossimi anni. Ipotesi perlomeno azzardata, se non altro perché uno dei contraenti, Salvini, mantiene un solido legame nelle regioni e nei comuni (oltre che in una miriade di centri di potere) con la coalizione di centrodestra, di cui non va dimenticato soltanto sei mesi fa era il candidato premier.
Se dunque è immaginabile che, presto o tardi, si arriverà a uno spareggio tra le due forze che dominano la scena politica, resta la domanda su chi abbia più frecce al suo arco. Rispetto a Di Maio, Salvini può contare su qualche non piccolo vantaggio. L’offensiva contro l’immigrazione (irregolare e regolare) che miete consensi, e condotta a costo (quasi) zero. Il controllo del Viminale, centro nevralgico dello Stato. La solida rete nazional-sovranista costruita in Europa e della quale il leader leghista è perno, insieme a Orbán e Le Pen. Un obiettivo a breve termine: la conquista del Parlamento di Strasburgo, sia pure attraverso un patto con il Ppe. Un obiettivo a lungo termine: la disarticolazione dell’Ue e, se ve ne saranno le condizioni, l’uscita dell’Italia dall’euro. Invece, davanti a sé il M5S ha un panorama più nebuloso visto che in Europa non ha ancora fissato alleanze, non ha particolari obiettivi di programma e nemmeno è chiaro a quale gruppo politico si assocerebbe dopo i risultati.
Quanto al ruolo di governo, è sotto gli occhi di tutti che Di Maio si sia attribuito il compito più ingrato (e meritorio) in un Paese a forte allarme sociale, afflitto da cinque milioni di poveri e da una disoccupazione giovanile fuori controllo. Rimettere l’Italia sul binario giusto della crescita e dell’equità è un compito di straordinaria importanza. Non si vede perché rovinarlo con dichiarazioni risibili e con atteggiamenti inutilmente aggressivi e futilmente teatrali.