Roberto Saviano ha saputo costruirsi un bel ruolo: quello di “Re dei buoni”. L’ultima tappa della sua crociata è la difesa del sindaco di Riace, anche – e soprattutto – dopo l’arresto. Ad agosto diceva: “Mimmo Lucano è un modello. Ripartiamo da qui per organizzare una nuova Resistenza”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip della Procura di Locri – pur escludendo l’arricchimento personale, ed è un aspetto dirimente – parla di un indagato che “vive oltre le regole, che ritiene di poter impunemente violare nell’ottica del ‘fine che giustifica i mezzi’” e di “gestione quantomeno opaca e discutibile dei fondi destinati all’accoglienza di cittadini extracomunitari”. Lucano è descritto cioè come un “soggetto avvezzo a muoversi sul confine (sottile in tali materie) tra lecito e illecito”. E’ evidente che il bravo Lucano ha operato “a fin di bene” conscio del suo essere “fuorilegge” (infatti si autodefiniva così), ma giuridicamente il tema esiste eccome: può un sindaco decidere da solo cosa sia giusto e sbagliato e quali siano le leggi da rispettare e quelle che non lo siano?
Lungi dal tradire incertezza o fare autocritica, pratiche a cui Saviano è vagamente allergico, lo scrittore sta invece rilanciando il suo pensiero con intemerate funeree. Ovviamente il primo bersaglio è Salvini, che per Saviano c’entra sempre. L’opposizione al centrodestra è passata negli anni in Italia dal “Piove governo ladro!” al “Piove Salvini ladro!”: un bel passo avanti. Saviano è davvero convinto che Salvini faccia paura e sia una sorta di nuovo Goebbels. Nulla di strano: in tempi di perdurante penuria a sinistra, l’identificazione di un Orco Cattivo può aiutare a serrare le file (quali?) e marciare uniti (come no) verso il Sol dell’Avvenire (ciao core). Saviano sa benissimo che l’inchiesta che riguarda Lucano è scattata nel 2017, quando non era neanche ipotizzabile un Salvini al Viminale. L’attuale ministro dell’Interno è il solito bullo nell’esultare (poveri noi) con un tweet, ma non c’entra nulla con l’arresto. Eppure per Saviano è sempre colpa del “ministro della malavita”, come lo chiama lui, citando malino Gaetano Salvemini che a sua volta parlava di Giovanni Giolitti (e “mala vita” lo scriveva staccato).
A scanso di equivoci, ribadisco la mia stima a Saviano e la mia lontananza da Salvini: non ci sarebbe neanche bisogno di specificarlo, ma viviamo tempi intrisi di tifo e dunque stupidi, nei quali se osi cercare una via di mezzo tra la retorica autoassolutoria (ora sincera e ora no) delle magliette rosse e il becero razzismo xenofobo sei de facto bollato come “salviniano” (col cazzo). Purtroppo questa demonizzazione maldestra e in servizio permanente di Salvini rischia di fare proprio il gioco del leader leghista. Saviano non se ne rende conto, ma è da tempo divenuto un testimonial involontario della Lega: più lui pontifica e più il suo nemico cresce.
Eppure Saviano va avanti, scomodando perfino Brecht: “Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere”. Detto che quando penso alla Resistenza penso a Fenoglio e non a Mimmo Lucano, brava persona ma “eroe” proprio no, il punto è un altro: chi lo decide quando la giustizia è giusta o ingiusta, Roberto? Tu? E come funziona, di grazia? Che se indagano Salvini la giustizia è buona mentre se arrestano un tuo amico allora è regime? Via, su. Anche sulla santificazione di Lucano, già divenuto “esempio di disobbedienza civile”, mito della sinistra nonché erede di figure nobilmente ribelli come la radicale Adele Faccio, ci andrei cauto. A meno che, pure qui, non sia sempre Saviano a decidere quali siano i carcerati buoni e quali quelli cattivi. Beato lui: mai un dubbio, mai una sfumatura. Da una parte c’è il Bene, cioè Saviano, e dall’altra il Male. Cioè chi non gli va a genio. Una specie di “manicheismo buonista”, che ti fa sentire sempre migliore degli altri. Così: ontologicamente.
Saviano ha anche detto che “questa inchiesta è il primo passo verso lo Stato autoritario” e che “l’Italia sta diventando un regime”. Ehilà, addirittura. E quando è prevista l’invasione delle cavallette? Così, giusto per sapere: vorrei organizzarmi bene per l’avvento delle Tenebre. E’ poi confortante che Saviano abbia ritrovato tutta quella (meritoria) veemenza che purtroppo non sempre aveva con Renzi al potere, prima causa del Salvimaio, e quando la ritrovava – Boschi e caso Etruria – Repubblica lo censurava (e lo pubblicava l’Huffington Post). Peccato che il 4 marzo quella veemenza si tradusse in un voto alla Bonino: cioè a Renzi, di cui i radicali (featuring Tabacci) tentarono d’essere un ormai liso specchietto per le allodole, a uso e consumo di quasi-delusi come Serra e Saviano.
C’è poi un ultimo aspetto: i video. Quei video. Sempre quelle pause che in confronto Celentano è Il Mitraglia. Sempre quelle carrettate di retorica. Sempre quei toni da Cassandra in slow motion. Sempre quella recitazione monolitica, sempre quello sguardo lanciato verso l’Armageddon. Sempre quel tono di voce mai modulato, da automa apocalittico in trip da Leopardi che ci tiene a ricordarti che devi morire, come quel buffo tizio che parlava a Troisi (“Sì sì, mo’ me lo segno”). Sempre quell’effetto involontariamente comico, come Anna Marchesini quando parodiava Il giardino dei ciliegi. Ma lei, che era un genio, lo faceva apposta.
Sei bravo e coraggioso, caro Roberto. Gomorra è opera meritoria, vivi una vita blindata a cui non resisterei sei secondi e chi ti attacca per la scorta è una carogna. Se però ogni tanto sottraessi enfasi & bile alle tue reprimende, ci guadagneremmo tutti. Tu per primo.