Quando parliamo di Danilo Toninelli, ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture per insufficienza di prove, dobbiamo confessare un certo disagio. Siamo abituati a sbeffeggiare questo e quello, ma nel suo caso l’impresa risulta inane e non resta che la resa: Toninelli si sbeffeggia così bene da solo da vanificare ogni sforzo esterno a lui. L’invenzione del “tunnel del Brennero” (ancora in costruzione fino, se va bene, al 2025) che “sapete quante merci e imprenditori utilizzano col trasporto su gomma” e che a lui risulta in piena efficienza in base a un fantomatico “dossier che ritengo importante” (e che evidentemente non ha letto o, se l’ha letto, gli hanno fatto uno scherzo), è troppo anche per chi coltiva l’esercizio della satira. Non si riesce a stargli dietro. Ora apprendiamo che lo “staff comunicazione del M5S” gli ha affiancato un tutor per controllargli preventivamente i social. Ma la contromisura precauzionale – quantomai opportuna, specie se verrà estesa agli altri membri del governo (per l’opposizione il problema si porrebbe se esistesse) – è facilmente aggirabile: e se, come nel caso del tunnel, il ministro vede un microfono e parla a braccio? Siamo daccapo. L’altra opzione – le dimissioni – sarebbe altrettanto inutile: metti che al suo posto arrivi un Sibilia, quello che riteneva “una farsa” lo sbarco sulla Luna. Ci sarebbe pure una terza soluzione: studiare.
Ma lo studio, si sa, richiede tempi lunghi e questo fa il ministro adesso. Nell’attesa, più che un social-badante, suggeriamo un bell’ingegnere esperto di infrastrutture e trasporti, possibilmente non corrotto, che svolga su Toninelli le funzioni che Siri adempie sui dispositivi Apple. Un assistente prêt-à-porter h24. Anche perché, per strano che possa sembrare, in Toninelli non è tutto da buttare: depurato dai social e dalle gaffe, e soprattutto indirizzato verso un barbiere normale che usi il pettine al posto del lanciafiamme, può persino tornare utile. Provate a immaginarlo senza il selfie al mare con “l’occhio vigile su ciò che accade in Italia” una settimana dopo il crollo del ponte; senza la foto di lui che se la ride con Vespa davanti al plastico del viadotto crollato; senza l’annuncio che il dl Genova “è scritto col cuore”; senza l’autoscatto con l’occhio da triglia, a suo dire sintomo di “massima concentrazione”; senza il personalissimo progetto di un nuovo ponte “in cui le persone si ritrovano, possono vivere, giocare, mangiare” (e viaggiare no?). Quando non twitta, non posta, non selfa, non mette like o emoticon, non ride e soprattutto non parla, ma agisce, Toninelli non è poi così male.
Anche perché essere peggio dei predecessori asserviti alle lobby dell’asfalto e del cemento è impossibile. Quando annunciò, a ferragosto, la revoca della concessione ad Autostrade e giurò che i noti prenditori non avrebbero ricostruito il ponte crollato, fu sommerso da un coro di risate e sdegno sui giornaloni col maglione, che volevano aspettare la Cassazione anche per fare il nome dei Benetton. Ora si scopre da insigni giuristi che la revoca della concessione è giustificata dagli inadempimenti della concessionaria (peraltro recidiva: vedi la tragedia di Avellino, dove proprio ieri il pm ha chiesto 10 anni di carcere per l’Ad di Autostrade). E l’Antitrust spiega in Parlamento che escludere Autostrade dalla ricostruzione “appare funzionale a evitare di replicare nel mercato, a valle dei lavori, gli effetti della chiusura alla concorrenza del mercato a monte, in cui l’affidatario del titolo concessorio, beneficiario di proroghe dello stesso, non è stato individuato con gara”. Nel 1999 i Benetton mica ebbero Autostrade in seguito a una gara; quindi ora si fa una gara e loro non partecipano. La concorrenza o vale sempre o non vale mai. Dunque aveva ragione Toninelli e torto Autostrade e i suoi giornaloni. Punto.
Intanto il decreto Genova, pur con una settimana di ritardo, è arrivato, con tanto di commissario: e tutti hanno colto la ridicola strumentalità delle opposizioni, che già protestano per il mancato avvio della ricostruzione, dopo aver abbandonato a se stessi i terremotati de L’Aquila e dell’Italia centrale nove e tre anni fa. A fine ottobre, poi, il pool di 14 esperti chiamati da Toninelli a valutare costi e benefici delle più controverse grandi opere (Tav Torino-Lione, Terzo Valico, Tap ecc.) consegneranno il loro rapporto e sapremo finalmente di quali possiamo fare a meno, risparmiando vagonate di miliardi. I veri danni alle infrastrutture li hanno fatti i governi che hanno sperperato intere fortune in opere inutili, tagliato sulla manutenzione e sulla sicurezza, regalato beni pubblici ai privati, inaugurando viadotti già esistenti da anni come fossero roba loro (Renzi), o autostrade incompiute e tenute insieme con lo sputo che si squagliavano subito dopo il taglio del nastro (B. & Cuffaro). Ma chi vuole invertire la rotta scontrandosi con le note lobby deve rendersi inattaccabile, anziché affogare le buone cose che fa nel maremagno delle gaffe, delle sparate, degli scivoloni, dei detti e contraddetti: un frullato di logorrea che non ha impatti sulla realtà, ma sulla sua percezione sì. E questo non vale solo per Toninelli, che pure è un primatista mondiale della gaffe e non teme rivali. Vale per molti altri ministri che, anche quando ne imbroccano qualcuna, riescono a cancellarla in una cacofonia da Prova d’orchestra felliniana. Difendersi con gli alibi dell’inesperienza e della buona fede non basta, perché alla fine conta il risultato. Chi sa di avere tutti contro deve fare meglio degli altri, ma deve anche rendersi credibile. E, per esserlo, non ci vuole granché: basta studiare e fare i compiti, lavorare con serietà, contare fino a cento prima di parlare. O, meglio ancora, tacere.