Nelle tante analisi attorno al Salvimaio, mi stupisce come non compaia quasi mai la parolina magica che spiega la scelta dei 5 Stelle: cinismo. Senz’altro, quando si è trattato di accettare il contratto (e quindi il governo) con la Lega, molti 5 Stelle hanno ascoltato la loro ambizione. Comprensibile: se sei anni fa avessero detto a Di Maio e Toninelli che un giorno sarebbero stati ministri, per giunta con ruoli apicali, sarebbero stati i primi a mettersi a ridere. O forse a piangere, che ne so. Ci sarà anche stato un senso di responsabilità verso Stato e istituzioni: all’ipotesi di un nuovo voto con la stessa legge elettorale sommamente vile, il M5S ha preferito turarsi il naso e accordarsi con Salvini e Calderoli. E poi non c’erano altre strade.
Ma c’è di più. I 5 Stelle hanno accettato il Salvimaio, a guardar bene senza neanche troppi imbarazzi, non solo per ambizione. Non solo per senso dello Stato. E non solo perché hanno sempre preferito, come larga parte del suo elettorato, Salvini a Renzi. Lo hanno fatto anzitutto per cinismo. I 5 Stelle si sono sempre definiti una forza trasversale e post-ideologica: né di Destra, né di Sinistra. Tale affermazione ha sempre fatto arrabbiare moltissimo la Sinistra, che avrebbe voluto che il M5S fosse una succursale del Pd – o al limite un suo surrogato. Al contrario, e decidete voi se la cosa sia un bene o un male, i 5 Stelle sono davvero una forza trasversale. Hanno sempre detto che, dopo il voto, avrebbero governato (senza numeri per essere autonomi) con chi ci sarebbe stato. C’è stata la Lega. E loro non hanno fatto una piega.
In questo non sono stati incoerenti, bensì coerentissimi. La logica dei 5 Stelle è tanto chiara quanto iper-politica, e fa sorridere che la forza più alternativa e meno politichese si sia comportata da forza cinica e navigatissima: fregarsene di chi ha accanto, mettendo al centro quei cinque-sei obiettivi cardine della propria agenda politica. Di fronte alla concreta possibilità di governare, i 5 Stelle hanno più o meno ragionato così: “Me ne frego di Fontana e Borghezio, del quasi-razzismo e del qual certo oscurantismo. Sui migranti mi turerò il naso, sulla legittima difesa mi girerò di lato e sulla flat tax farò finta di aver cambiato idea. A volte soffrirò e più spesso sarò in imbarazzo, però questa è ora l’unica strada per ottenere obiettivi che reputo storici. Il reddito di cittadinanza. Una seria legge anticorruzione. Il decreto Dignità. La lotta al gioco d’azzardo. Il conflitto di interessi. Basta coi vitalizi. Basta con la Rai lottizzata. Basta coi governi conniventi, o anche solo troppo pavidi, contro la mafia. Se questa è la storia che mi passa davanti, sul treno voglio salirci. Anche se molti compagni di viaggio mi stavano sulle palle, e a dirla tutta mi ci stanno ancora”. Questo è stato il ragionamento. Ed è ancora un paradosso, decidete sempre voi se positivo o negativo, che la forza per antonomasia contraria a qualsivoglia alleanza abbia accettato – assai lucidamente – un “contratto di governo” con la Lega. Quello del m5s è un piano per nulla incoerente, lecitamente cinico e platealmente rischioso. Ai suoi elettori, la forza nata nel 2009 per volere di Grillo e Casaleggio sta dicendo questo dal 1° giugno: “Accettate di ingoiare qualche rospo con noi. In cambio, faremo buona parte di tutto ciò che in questi anni vi abbiamo promesso”. Ed è proprio questo il punto: fare buona parte di quel che hanno promesso, o almeno dimostrare di provarci. In quel caso, forse, i tanti rospi ingoiati sembrerebbero meno indigesti. Ma solo in quel caso. E non è neanche detto.
È tutto inedito. Non so se questa sia la Terza Repubblica, o magari la Seconda. O addirittura un reflusso esofageo della Prima. Non lo so ancora, perché mi do sempre molto tempo per approdare a risposte definitive, che spesso poi neanche trovo, e perché quella attuale è una situazione oltremodo fluida. Di sicuro siamo di fronte a uno scenario totalmente inedito. Con i 5 Stelle al governo, si capovolge tutto. I più detestati dal “sistema” entrano nel sistema, non solo per aprire la scatoletta di tonno ma per essere il tonno. E lo fanno da esordienti assoluti, avendo per giunta accanto il partito più vecchio della Seconda (e Terza) Repubblica. Un partito odiatissimo dal Pd, e dunque da due terzi dei media, ma pure – almeno fino a ieri – da tanti elettori del M5S. E viceversa. È come se, col governo Conte, uno chef assai fantasioso avesse proposto a noi tutti un piatto oltremodo azzardato e avveniristico. Per qualcuno sa di nirvana, per qualcun altro di merda (ops). Non ci sono mezze misure, e se ci sono non vanno di moda. Tutto quello che valeva prima, coi Monti e Letta e Renzi e Gentiloni al governo, non vale più. Prima c’erano i gattopardi, ora dichiarati e ora travestiti (malissimo) da innovatori. Adesso ci sono gli scavezzacollo, i populisti, i sovversivi. Quelli che, per tanti, hanno torto anche quando hanno ragione. È saltata ogni cosa. Persino il protocollo. Persino i convenevoli. Soprattutto i convenevoli. Non so ancora dirvi se sia un cambiamento agognato, o se piuttosto siamo passati – come molti dicono – dalla padella alla brace. So però che la padella di prima faceva così schifo che, prima di accodarmi al coro del “mai stati peggio di così”, mi prenderò un po’ di tempo. Con buona pace degli indignati a giorni alterni, ieri col poster in camera della Boschi e oggi con la bambolina voodoo della Lezzi. Credo che la storia appena iniziata – e non so quanto durevole – del Salvimaio meriti qualche riflessione. Senza apocalissi né agiografie, casomai con un po’ di ironia. Che è poi quel che vi apprestate a leggere.