Un documento che a poche ore dall’omicidio avrebbe svelato il pestaggio che portò alla morte di Stefano Cucchi. E consentito alla Procura di indagare. L’annotazione era depositata in un armadio della stazione Appia di Roma. L’ha rivelato Francesco Tedesco, uno dei cinque carabinieri imputati e accusato di omicidio preterintezionale. In passato ha mentito e per nove anni ha omesso l’esistenza del documento. In poche righe aveva segnalato già nel 2009 il pestaggio di Cucchi. Ma l’annotazione è sparita. Prima di proseguire, valutiamo cosa accade in questi casi: la relazione di Tedesco, poiché contiene un’ipotesi di reato, è già di per sé un annotazione di polizia giudiziaria. E per prassi viene consegnata al comandante della stazione che, senza ritardo, deve inoltrarla all’autorità giudiziaria e trattenerne una copia. Nulla di tutto questo è accaduto.
Ora mettiamo in fila eventi, documenti e tutto ciò che, in questa storia, è quanto meno anomalo. Nella stazione Appia c’è dunque un fascicolo che annota le operazioni del 15 ottobre 2009. Nell’indice, alla casella “79” si legge “Annotazione arresto Cucchi”. All’interno del fascicolo, al numero 79, corrisponde però solo un foglio bianco con la scritta “Occupata”. La scritta dimostra tre fatti. Il primo: che al numero 79, un documento, c’era. Il secondo: qualcuno l’ha preso. Terzo: quel documento non è tornato al suo posto. L’Arma ha aperto, all’epoca, un’indagine interna: com’è possibile che nessuno abbia fatto chiarezza sul documento mancante?
A giugno Tedesco denuncia la vicenda in Procura: il pm Giovanni Musarò indaga, contro ignoti, per soppressione di atti pubblici. L’obiettivo è individuare chi ha distrutto l’annotazione e capire se ci sono state omissioni nell’indagine interna dell’Arma.
Così a luglio Tedesco viene interrogato. Il suo è uno squarcio nel muro: riferisce d’aver assistito al pestaggio di Cucchi da parte dei suoi colleghi. E spiega di aver raccontato del pestaggio sia a Roberto Mandolini, all’epoca comandante della sua stazione, sia a Vincenzo Nicolardi, entrambi imputati per calunnia. Fu Nicolardi, dice, a consigliargli “d’attestare tutto in un’annotazione di servizio”: “Le due annotazioni – continua Tedesco – furono inserite in una carpettina rossa chiamata ‘Fascicolo delle annotazioni di servizio/relazioni di servizi’ e avrebbero dovuto essere firmate dal Comandante”. In altre parole, Tedesco non consegna la relazione al suo comandante, ma ne stampa due copie e le inserisce nella carpettina rossa.
“Ero consapevole – dichiara – di aver denunciato due colleghi per abuso di autorità su soggetti arrestati”. E quindi, una vera e propria notizia di reato. Ma le annotazioni scompaiono. Tedesco aggiunge: “Assistetti alla telefonata di Mandolini al comando Stazione Tor Sapienza. Mandolini chiese di modificare le annotazioni dei militari presso il comando stazione Tor Sapienza nella notte del 16 ottobre 2009. Disse che il contenuto di quelle annotazioni non andava bene. Le annotazioni furono modificate (…). Si trattava di annotazioni che la catena gerarchica aveva richiesto nell’ambito di un’indagine interna dopo il decesso di Cucchi”.
Al Fatto risulta che Mandolini offre una versione diversa: all’epoca della relazione di Tedesco, lui non era più il comandante della stazione, e di questa relazione non avrebbe mai saputo nulla.
Il 3 ottobre il comandante pro tempore dell’epoca, maresciallo Emilio Buccieri, dice al pm d’essersi accorto dell’anomalia sulle annotazioni solo a luglio, quando la Procura di Roma acquisisce il fascicolo: “È evidente che qualcuno l’ha prelevata”. Mandolini non sa. Buccieri lo scopre a luglio. E l’indagine interna dell’Arma? Buccieri riferisce di aver partecipato a una riunione per “la vicenda Cucchi”, a novembre 2009, perché “erano stati convocati tutti i comandanti di stazione e di compagnia di Roma. Il comandante provinciale, Vincenzo Tomasone, ci sensibilizzò sulla gestione del personale perché oltre la vicenda Cucchi, c’era anche quella Marrazzo”. Poi aggiunge: “Quando ci fu la riunione presso il comando provinciale, per l’indagine amministrativa, non fui convocato, forse perché risultavo in licenza”. Buccieri, comandante dei carabinieri che hanno pestato a morte Cucchi, non viene convocato. E Tedesco? Neanche.
Il Comandante Tomasone 10 mesi fa è stato promosso generale. Il Fatto gli ha chiesto se abbia mai saputo della relazione fantasma: “Mai. Altrimenti avrei tratto tutte le conseguenze del caso. Chiedemmo delle relazioni sulla vicenda e le depositammo in Procura”. “Non sono autorizzato a rispondere”, ci dice il diretto superiore di Buccieri, colonnello Paolo Unali, che all’epoca comandava la compagnia Casilina. Ecco invece la versione di Alessandro Casarsa, che guidava il gruppo Carabinieri di Roma, a gennaio promosso generale di Brigata, oggi comandante dei Corazzieri del Quirinale: “Non ho avuto parte attiva in quegli accertamenti. La Procura chiese al comando provinciale di effettuare delle verifiche e non mi risulta sia mai emersa alcuna notizia su questa relazione di servizio. Altrimenti avrei denunciato”.
In sintesi: il documento sparisce, né Tedesco né Buccieri vengono convocati per l’indagine interna, e la catena gerarchica riferisce al Fatto di non aver mai saputo nulla.
Il 9 luglio, però, mentre viene interrogato, Tedesco riceve una brutta notizia: gli viene notificato un procedimento di Stato. Rischia la destituzione per la condanna (prescritta) di abuso d’autorità.
E il 26 settembre racconta al pm altri dettagli: nell’elenco del fascicolo, infatti, viene aggiunta a mano una seconda annotazione, la “79bis” che riguardava un altro arresto. “È scritta con una grafia che non è la mia”, dice Tedesco. “Le due annotazioni – continua – sono scomparse (…) fra il 23 ottobre 2009 e il 27 ottobre 2009”. Chi le ha distrutte?