Raffaele Cantone ha lanciato un allarme sul decreto Genova. Per il presidente dell’Anac, a causa della deroga alle norme ordinarie prevista dal decreto sulla ricostruzione del ponte, ci sarebbe il rischio di infiltrazioni mafiose. Il Governatore della Liguria Giovanni Toti ha replicato che “non è una buona ragione per allungare i tempi”. E ora Cantone al Fatto spiega: “Il mio intervento era tecnico e mirava solo a suggerire una strada per accelerare e non certo per rallentare i lavori”.
Presidente Cantone, il governo finalmente è partito sul Ponte e lei, nominato da Renzi, vuole metterlo in difficoltà paventando i rischi di infiltrazione mafiosa per chiedere di tornare alle vecchie leggi ordinarie?
C’è sempre questo tentativo di dare una lettura politicizzata alle nostre posizioni. Ci sono abituato. Sono stato proposto da Matteo Renzi e non rinnego i rapporti con lui, ma ne ho di ottimi anche con molti esponenti M5S. Non è un caso che l’Autorità abbia un presidente che dura più dei governi, eletto con una maggioranza dei due terzi del Parlamento, peraltro io ho avuto l’unanimità. Martedì io ho avuto due audizioni. Sono stato anti-governativo al mattino su Genova e poi filo-governativo al pomeriggio quando ho parlato positivamente del decreto spazza corrotti?
Non pensa che, vista la situazione di Genova, una deroga alle normative sia necessaria per dare una risposta celere?
Io sono il primo a dire che, rispetto alla gravità dell’evento, è giustificato il ricorso a un commissario e alle procedure straordinarie. Io ho solo segnalato i rischi di una deroga che copra tutto l’ordinamento italiano tranne le norme penali.
Il fine potrebbe giustificare i mezzi, non crede?
Perfetto. Prescindiamo dai mezzi. Siamo sicuri che la deroga a tutte le leggi a parte quelle penali, ottenga il fine? Io ritengo di no. Ma sia chiaro il mio scopo è lo stesso del governo: non voglio più burocrazia ma più velocità. Penso però che, proprio per andare più veloci, una deroga così ampia sia controproducente. Il giudice, in caso di ricorsi, dovrà applicare comunque la legge comunitaria e le beghe legali poi potrebbero rallentare l’opera.
Le regole potrebbe stabilirle il commissario.
Stiamo parlando di un’opera pubblica e le regole per un’amministrazione dovrebbero essere stabilite dal legislatore. Io non penso che in materia di assegnazione degli appalti, di smaltimento dei rifiuti e di sicurezza del lavoro, il commissario possa fare come vuole. Riterrei più utili deroghe precise e limitate. E poi c’è anche un problema di filosofia generale.
Le risponderanno che le regole sono troppo complesse e rallentano le opere.
Questo messaggio è pericoloso. Le regole non sono degli ostacoli ma un ausilio a fare le opere nei modi giusti. Quelle sulle gare servono a cercare la ditta migliore. Quelle sul lavoro a tutelare la sicurezza degli operai. Non dobbiamo far passare il concetto che le cose si fanno bene solo senza regole. Altrimenti si minano i fondamenti dello Stato di diritto. La macchina consegnata al commissario in queste condizioni non avrà una marcia più spedita perché prima di partire dovrà tracciare da solo la strada da percorrere.
Lei davvero crede possibili infiltrazioni della mafia nella ricostruzione?
Tutto il sistema delle informative e delle interdittive antimafia, cioè i controlli che vengono fatti sempre dalle prefetture sulle società che vincono le gare, non sono previsti per i lavori del ponte Morandi.
Palazzo Chigi replica che le norme penali restano in vigore.
Sì ma i controlli antimafia sulle ditte sono amministrativi. E io segnalo che la Liguria non è nuova a infiltrazioni delle organizzazioni criminali. Una società ci mette un attimo a spostarsi dalla Calabria a Genova per fare il movimento terra.
Però è vero che il controllo preventivo sulle società fa perdere tempo.
Abbiamo già sperimentato un sistema veloce: per il terremoto e per Expo siamo riusciti a fare i controlli antimafia in 10 giorni. Il passato insegna: i primi camion sui luoghi del sisma dell’80 in Irpinia erano dei cutoliani. A L’Aquila varie interdittive bloccarono la camorra e per Expo sono state fatte 70 interdittive antimafia. Più di quelle fatte fino a quel momento nel Nord Italia.
Anche sulla spazzacorrotti lei ha espresso critiche.
Io condivido l’impianto generale di quel decreto. Le dirò di più, sono entusiasta per le norme sulle fondazioni. Dopo le elezioni feci un’intervista proprio al Fatto per dire che era la prima cosa da fare. Ed è stato fatto con grande coraggio. Ho segnalato solo due criticità: il Daspo a vita che resta anche sui riabilitati, per ulteriori 12 anni e soprattutto non mi convince l’impunità per chi denuncia entro sei mesi.
Non pensa che un premio a chi accusa possa rompere il vincolo tra complici?
Temo che così si possa favorire una sorta di agente provocatore per fini privati. Se volessi incastrare un tizio, ora ho lo strumento per farlo: lo alletto con proposte criminose finché non cede. Poi lo denuncio e non rischio nulla.
Ma la legge esclude l’impunità se c’è premeditazione.
Sì, ma provare la premeditazione è difficilissimo.
Qualcuno è rimasto stupito quando ha difeso il presidente Conte dalla campagna di Repubblica sul suo concorso da professore. In passato lei era stato duro con gli avvocati che fanno i commissari d’esame del collega dello stesso studio legale.
Sì e lo confermo. Il professor Conte però si è difeso sostenendo che il suo caso è diverso. Una collaborazione sporadica e anche la condivisione dell’ufficio non bastano per stabilire che vi sia la comunanza di interessi tra esaminato ed esaminatore. L’indagine giornalistica che Repubblica ha fatto, svolgendo il suo ruolo con correttezza, dimostra che il professor Conte e il professor Alpa erano codifensori in una causa e avevano lo studio nello stesso stabile. Conte sostiene di poter dimostrare che pagava separatamente il canone e anche le fatture per le parcelle erano separate. Io ho detto che questa è una difesa plausibile. Subito sono diventato filo M5S.
Grazie a una sua segnalazione è nato un procedimento penale che potrebbe portare a una condanna e alle dimissioni della sindaca Raggi.
Noi abbiamo mandato le carte in Procura perché la legge ci impone di segnalare i fatti che potrebbero avere rilievo penale. Però abbiamo anche scritto una lettera alla sindaca per segnalare che l’amministrazione ha ripreso a fare le gare con continuità a differenza delle precedenti giunte. Anche se i giornali hanno dato meno risalto a questa notizia.
Vero. Però la Giunta della Capitale potrebbe cadere, a seguito dell’eventuale condanna per falso. Lei è all’origine di tutto. Non le sembra un po’ eccessivo?
Virginia Raggi non decadrebbe comunque. La legge Severino prevede la decadenza solo per reati gravi. Non per il falso. Una condanna per un sindaco è un vulnus ma io ritengo che dipenda dal tipo: un sindaco condannato per diffamazione secondo me non si dovrebbe dimettere. Su questo caso specifico comunque non mi esprimo perché me ne sono occupato ed è una valutazione tutta politica.