Al netto di tutte le opinioni politiche che si possono avere sulla manina che ha esteso e allargato la pace fiscale o condonino, c’è un dato oggettivo nelle cronache di queste ore che evidenzia il pregiudizio generale della stampa italiana, se non la malafede, nei confronti del vicepremier Luigi Di Maio e del movimento che rappresenta, i Cinque Stelle. Ci riferiamo alla totale, imbarazzante omissione nella narrazione dei fatti dell’intervento informale del Quirinale contro le forme di depenalizzazione presenti nel decreto al centro della contesa tra i due vicepresidenti del Consiglio, Di Maio e Matteo Salvini. Non quindi, uno scontro minore tra due comari di sottogoverno, ma un braccio di ferro decisivo per il prosieguo dell’esecutivo gialloverde di Giuseppe Conte.
Il Fatto di giovedì ha dato conto della moral suasion del Colle l’altro giorno, documentando al minuto quanto accaduto mercoledì sera. Un lavoro normale di verifica e riscontro, confermato sia dal M5S sia da fonti tradizionali del Quirinale (conserviamo ovviamente tutto). Poi è successo, sempre mercoledì, che Di Maio abbia tirato in ballo il capo dello Stato direttamente e il Quirinale ha smentito l’ovvio: “Non abbiamo ricevuto alcun testo definitivo”. Una smentita che è l’altra faccia della medaglia di questo pasticcio. Perché le due cose combaciano. Da un lato la bozza al Quirinale arrivata tra il 16 e il 17 ottobre, dall’altro la scontata negazione sul ricevimento del testo ufficiale del decreto. Una non esclude l’altra.
Eppure, di tutto questo, nel Paese dei giornaloni e dei giornalini in cui domina l’ossessione del retroscena politico, ieri non c’era traccia. Stracciando e rinnegando decenni di pezzi scritti con fonti di ogni genere, tante firme di Palazzo hanno incassato a scatola chiusa la versione scontata del Colle, tralasciando per comodità strumentale la precedente moral suasion del Quirinale. Nonostante a divulgare il retroscena sia stato addirittura il vicepremier Di Maio. E così ieri i vari quirinalisti si sono esercitati sull’ennesimo monito filoeuropeista mattarelliano, senza dedicare una sola riga al tema della manina. Anche negli altri pezzi di Corriere della Sera, Repubblica, Stampa, giusto per citare i soliti noti, nessun accenno all’intervento del Colle sulla bozza (comunque una notizia) se non per metterlo in dubbio. Ancora più significativo il confronto in merito andato in scena a PiazzaPulita su La7 giovedì sera, dove il sottosegretario grillino agli Esteri Manlio Di Stefano è stato protagonista di un surreale botta e risposta con due valenti colleghi. Di Stefano ripeteva che lo stesso Colle aveva fatto sapere che la depenalizzazione non andava bene e ogni volta gli si opponeva seccamente e dogmaticamente la versione ufficiale del Quirinale sul testo definitivo non ricevuto, come se Di Stefano fosse un bugiardo patentato. Un allineamento giornalistico da Pravda dei vecchi tempi. Poi però, allo stesso Di Stefano veniva posta una domanda, questa sì basata su fonti informali, sulla questione di Di Maio verbalizzatore del Consiglio dei ministri in occasione della pace fiscale, a causa dell’assenza di Giorgetti. Surreale, davvero. È l’uso del retroscena ad personam, in senso unilaterale: la fonte vale se danneggia il M5S. Il cosiddetto giornalismo a tesi.
Di qui due considerazioni che si intrecciano tra di loro. La prima: com’è possibile ricostruire il mistero della manina senza tenere conto di questo tassello fondamentale dell’intervento del Colle sulla bozza e senza dimenticare che la notizia riportata dal Fatto giovedì non è stata smentita dal Quirinale? Davvero siamo al punto che per dare addosso all’odiato governo pentaleghista si fa finta di non vedere le notizie? In ogni caso, questa grave omissione resta un caso di scuola per capire come ormai giornalismo e convenienze e simpatie politiche di mescolano senza distinzione.
Perché il senso politico di quanto accaduto è fin troppo chiaro: la verità sulla sponda tra Mattarella e Cinque Stelle avrebbe distrutto certezze e supposizioni dei quotidiani impegnati a descrivere Di Maio non solo come un incapace ma anche come un debole isolato da tutti e sottoposto a indicibili torture da Salvini.
Ovviamente pure il Quirinale ha le sue responsabilità in questo thriller della manina. Il valore della smentita sul testo ufficiale mai ricevuto, dopo l’uscita di Di Maio, esprime la volontà di tirarsi fuori dalla contesa tra i due alleati, ma l’intervento sulla bozza resta, così come la conferma che abbiamo ricevuto alle 19 e 30 di mercoledì sera. Mattarella senza dubbio deve continuare a perseguire la sua immagine di arbitro imparziale, lontana anni luce dal dirigismo e dell’interventismo del suo predecessore (a proposito di sovranismo dall’alto). Ma chissà se ciò che è stato riferito sulla bozza agli altri giornalisti coincide con quanto detto al Fatto.