“Draghi avvelena il clima invece di tifare per l’Italia”. Questa replica di Luigi Di Maio alle dichiarazioni del presidente della Bce denota una buona dose di infantilismo e di inadeguatezza. E non è degna di un vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo. Ma neppure di un leader politico che dovrebbe essere sintonizzato con i cittadini o, quantomeno, con i suoi elettori. Chiunque abbia qualche euro da parte, incluso chi vota 5Stelle e Lega, è allarmato dallo spread che non accenna a calare e per le turbolenze e le speculazioni sui mercati che portano con sé i guai delle banche imbottite di titoli di Stato e i declassamenti del nostro mostruoso debito pubblico. Cioè danneggiano le tasche non degli speculatori, che anzi ci campano, ma dei risparmiatori, che ci rimettono. E anche il più gialloverde dei risparmiatori sa benissimo che cosa merita di essere ascoltato fra le analisi argomentate di Draghi e le repliche sgangherate dei ministri italiani. Draghi, oltre a essere uno dei più autorevoli e stimati personaggi che vanti oggi l’Italia, non è un euroburocrate in campagna elettorale, diversamente dai vari Oettinger, Moscovici e Juncker. E non è neppure un nemico dell’Italia, visto che si è scontrato duramente con gli ultrà tedeschi, filo-tedeschi e anti-italiani allergici alle cannonate del Quantitative easing che con l’acquisto massiccio di titoli di Stato ha aiutato per cinque anni i Paesi europei più indebitati, Italia in primis.
Se Draghi avesse voluto associarsi ai giochini ributtanti della Commissione europea per rovesciare o commissariare il governo gialloverde, non gliene sarebbero mancate le occasioni. Invece ha fatto esattamente l’opposto: ha spiegato più volte che le parole, con mercati così sensibili e volubili, pesano come pietre, e che chi dall’opposizione sale nelle istituzioni dovrebbe cambiare linguaggio, perché anche le sparate degli urlatori grillo-leghisti fanno danni incalcolabili. Quanto alla manovra, non l’ha mai presa di petto, anzi ha ricordato che non è la prima volta che l’Italia o un altro governo europeo sfora i limiti fissati e si è detto favorevole a un compromesso fra Ue e Italia e persino ottimista sulla possibilità di ottenerlo. L’ha ripetuto l’altroieri (“Sono fiducioso che un accordo sarà trovato”), anche se Di Maio&C. non se ne sono accorti. Ed è arrivato a dire che allo spread contribuiscono più le uscite degli urlatori anti-euro (ormai esclusivamente leghisti, specie dopo le rassicurazioni di Conte, Tria, Di Maio e perfino Salvini sulla permanenza dell’Italia nell’eurozona) che non una manovra sul 2,4% deficit-Pil.
Tutto questo, per chi sa leggere anche quello che, per il suo ruolo, il presidente della Bce non può dire, è un assist importante al governo soprattutto ai 5Stelle. Molto diverso dalle minacce e degli ultimatum degli agonizzanti sparafucile di Bruxelles. Tradotto in soldoni: nessuno vi chiede di ritirare la manovra; potreste persino lasciarla così com’è, o quasi; purché mettiate la museruola ai vostri urlatori che regalano appigli agli speculatori, salvo poi dire che parlavano a titolo personale quando ormai il danno è fatto; perché le commissioni Ue passano, ma gli speculatori restano, ed è meglio tenerli lontani dal nostro culo. Se così stanno le cose – e abbiamo ottimi motivi per ritenere che stiano così (leggete Stefano Feltri a pag. 3), e la parte più responsabile del governo (Conte, Tria, Giorgetti, persino il vituperato Savona) l’ha capito da un pezzo – è stupefacente che Di Maio non se ne renda conto e continui a respingere la mano tesa di Draghi, accomunandolo ai rottweiler di Bruxelles e rinunciando a incunearsi fra le divisioni di chi cerca il dialogo con l’Italia e chi vuole la guerra con un occhio alle elezioni. Che Salvini giochi al “tanto peggio tanto meglio”, si è capito: il Cazzaro Verde pensa (o si illude: lo spread preoccupa anche la parte più avveduta dei suoi elettori) di lucrare più voti strillando fino a primavera che ce l’han tutti con noi.
Ma, se abbiamo capito bene, non è questa la strategia dei 5Stelle: al Circo Massimo, Di Maio e Fico hanno annunciato alleanze nel prossimo Europarlamento con tutte le forze che non si riconoscono nel decrepito fronte Ppe-Pse (attualmente al governo), né nella destra salvinian-lepeniana, né nei liberalconservatori dell’Alde (nel cui gruppo peraltro il M5S aveva provato a entrare, invano). Cosa resta? La sinistra-sinistra (che l’altroieri, con Mélenchon e altri, ha difeso la manovra italiana nell’indifferenza dei 5Stelle) e i Verdi (i più simili ai pentastellati, malgrado le diffidenze reciproche). Se non vogliono stare né con chi ha rovinato l’Europa né con chi vorrebbe distruggerla definitivamente, ma con chi vuole cambiarla seriamente, i 5Stelle dovrebbero cambiare linguaggio e uscire dall’infantilismo che ieri ha portato Di Maio a mandare a quel paese Draghi, cioè l’unica autorità europea che non fa campagna elettorale contro l’Italia e tenta, per quel che può, di aiutarla. Dargliene atto e comportarsi di conseguenza, magari iniziando a pensare a una patrimoniale, non significa ritirare o stravolgere la manovra, cedere ai diktat dell’Ue, dei mercati e dello spread, rinunciare a dialogare con la Russia (lo chiede anche Prodi, molto più “amico di Putin” di Salvini, che manco lo conosce) o con Trump (chi si scandalizza per la sua telefonata a Conte dimentica 70 anni di alleanza con gli Usa e i salamelecchi di Gentiloni a The Donald) o con la Cina. Significa guardarsi dai veri nemici, distinguerli dagli amici insospettabili, parlare un linguaggio da statisti e non da asilo Mariuccia o da osteria, smetterla di fare gli struzzi per esorcizzare la dura realtà dei numeri. Cioè fare gli interessi del tanto strombazzato “popolo”.