La zona 1, il centro storico di Guatemala City, di notte cambia forma. Gli studenti tornano nei quartieri periferici, alcuni venditori ambulanti, per lo più indigeni, caricano le loro merci su bus colorati e inquinanti e raggiungono i villaggi intorno alla capitale. Chi abita il centro storico si barrica in casa dietro porte protette da sbarre di ferro e vive le ore notturne da carcerato perché nelle carceri vere non ci sta chi ci dovrebbe stare, o, quantomeno, non tutti coloro che si meriterebbero la cella per aver distrutto il Paese. Le farmacie restano aperte ma sembrano gabbie.
Con le prime luci dell’alba l’umanità torna visibile, le donne iniziano a cuocere le tortillas negli angoli delle strade mentre gli uomini spremono le arance e ti servono il succo semplice o rinforzato con un uovo crudo di gallina o di quaglia. Tutto sembra tornare alla normalità. Ogni giorno vengono a galla nuove ingiustizie, ma la speranza non muore mica. Al contrario cresce sempre più, non nella politica, ma nei pastori delle chiese evangeliche, le nuove star latinoamericane.
Nel 1969 Nixon, appena eletto Presidente degli Stati Uniti, commissionò a Nelson Rockefeller, all’epoca Governatore dello Stato di New York, una ricerca sulle condizioni dell’America del sud. In quel documento Rockefeller scrisse che la Chiesa Cattolica stava rompendo con il suo passato trasformandosi in un’istituzione favorevole al cambio sociale, economico e politico del continente, un cambio che, se non ci fossero stati altri modi, si sarebbe potuto conquistare persino sostenendo i movimenti rivoluzionari. Traduzione? Per gli Usa la chiesa cattolica sudamericana non era più un alleato affidabile.
Esistono varie versioni riguardo a ciò che accadde da quel momento in poi. C’è chi sostiene che le grandi corporation statunitensi, in primis le compagnie bananiere che facevano il bello e il cattivo tempo in Guatemala e Honduras, abbiano finanziato il movimento pentecostale latinoamericano; c’è chi ritiene che la Cia stessa abbia ricoperto di milioni di dollari le chiese evangeliche a sud del Rio Bravo; c’è chi pensa che l’esodo di centinaia di pastori protestanti nordamericani verso il Centro America fosse strategia politica, non solo evangelizzazione. Quel che è certo è che, dal 1969 ad oggi, la Chiesa cattolica ha perso decine di milioni di fedeli.
L’avanzata degli evangelici dipende da mille fattori. Dall’organizzazione quasi militare delle loro chiese, dalla formazione dei suoi volontari, incredibilmente accoglienti quando bussi alla porta dei loro templi, dall’aggressività dei loro mezzi di comunicazione capaci di fare proseliti e di convincere anche i più poveri tra i poveri ad offrire parte dei loro miseri guadagni alla causa di Dio.
Il rapporto con gli Stati Uniti
La relazione tra la Chiesa cattolica, o parte di essa, con i Presidenti degli Stati Uniti d’America, non è stata sempre semplice. Theodore Roosevelt pensava che l’espansione degli interessi Usa in America Latina sarebbe stata difficile fino a quando questi sarebbero restati fedeli al cattolicesimo. Reagan fece di tutto per contrastare la Teologia della Liberazione, una corrente del pensiero cattolico che si sviluppò a partire dal Concilio Vaticano II e che venne teorizzata con maggiore precisione nel 1968, durante il Consiglio Episcopale latinoamericano di Medellín. I vescovi e i sacerdoti che abbracciarono questo nuovo pensiero ritenevano che la liberazione delle anime passasse dall’emancipazione dei fedeli. Ritenevano altresì che la liberazione che l’essere umano doveva perseguire fosse una liberazione totale, una liberazione anche dalle cause responsabili della povertà degli uomini. Una liberazione, dunque, non solo spirituale ma sociale, economica, ovvero politica. Ovviamente per chi deteneva il potere, dall’inquilino della Casa Bianca, agli azionisti delle multinazionali, passando per tutti quei fantocci piazzati dai governi statunitensi al comando dei Paesi latinoamericani, queste idee erano pericolose. Per contrastarle Reagan sostenne economicamente orde di paramilitari, oltretutto grazie a fondi neri ottenuti dalla vendita illegale di armi in Iran, i quali si macchiarono di crimini di ogni tipo, compresa l’uccisione di innumerevoli sacerdoti e catechisti che avevano abbracciato la Teologia della Liberazione.
I colpi di stato o le vittorie elettorali dei politici telecomandati da Washington, i quali scelsero come interlocutori i vescovi più conservatori della Chiesa cattolica latinoamericana, isolarono sempre più gli esponenti del movimento di liberazione. La stessa Curia romana fece la sua parte accusando di marxismo il movimento. Giovanni Paolo II, se non contrastò apertamente la Teologia della Liberazione, quanto meno lavorò per evitarne l’espansione. Quel movimento che raccolse le speranze di milioni di poveri si ridusse lasciando un vuoto. Quel vuoto è stato sistematicamente riempito, e persino espanso, dalle chiese evangeliche, dalle assemblee protestanti, da pastori diventati celebrità o talvolta uomini politici.
La lunga tradizione dei presidenti del Guatemala
Ríos Montt, generale dell’esercito guatemalteco, dittatore responsabile del genocidio delle comunità maya, prima di condurre il colpo di stato del 1982 grazie al quale conquistò il potere, fu a capo della chiesa evangelica “Il Verbo”, legata al Gospel Outreach, una congregazione protestante americana che ha ancora la sua sede ed una scuola ad Eureka, in California, da dove, negli anni ’70, molti pastori partirono alla volta del Guatemala. Allora si riteneva che uno dei modi per eliminare i guerriglieri – oltre a radere al suolo tutti i villaggi indigeni dove si pensava che vivessero i loro simpatizzanti – fosse, per l’appunto, sostenere il movimento evangelico. “Un evangelico in più un guerrigliero in meno” si diceva in quegli anni. Jorge Serrano Elías, il presidente del Guatemala che nel 1993 organizzò il fallimentare auto-colpo di stato per poter sciogliere il parlamento, prima di fuggire a Panama carico di milioni di dollari, era pastore di El Shaddai, una delle più potenti chiese evangeliche la quale vanta templi e scuole disseminati per tutto il Guatemala. A fondare El Shaddai è stato Harold Caballeros, proprietario dell’impero radiofonico Stereo Vision nonché ministro degli Esteri durante la penultima presidenza del Guatemala, quella di Otto Pérez Molina, oggi in carcere per corruzione. Anche l’attuale presidente, Jimmy Morales, è evangelico. Ama farsi fotografare accanto ai pastori più famosi del Paese i quali, direttamente o indirettamente, non gli hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Quando Jimmy Morales ha annunciato, tanto per guadagnarsi i favori di Trump, lo spostamento dell’Ambasciata guatemalteca d’Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, Manuel Medina, presidente dell’Alleanza evangelica, ha immediatamente ringraziato Dio per la decisione. L’Alleanza ha calcolato la presenza di più di 40.000 chiese evangeliche in Guatemala, novantasei chiese evangeliche per ogni parrocchia cattolica. Julio Aldana, banchiere arrestato per aver aiutato la vice-presidente del Guatemala Roxana Baldetti a rubare tutto quel si è rubata, è stato pastore del Ministerio Internacional Dios es Fiel, altra chiesa evangelica. Le congregazioni evangeliche, con le enormi ricchezze derivate dalle offerte e dalle decime di milioni di fedeli, stanno comprando ogni mezzo di comunicazione possibile: radio, TV, giornali. Il potere che hanno è immenso e, dal Brasile al Messico, lo utilizzano per convertire gli elettori oltre che le anime. In Brasile già da anni esiste la Bancada evangelica, un gruppo di deputati sempre più potenti e le congregazioni protestanti stanno realizzando incredibili campagne a favore di Bolsonaro il quale proprio oggi si giocherà la presidenza del Paese al ballottaggio con Fernando Haddad, leader del Partito dei Lavoratori.
In Argentina vi è il sospetto che “El Chapo” Guzmán, il signore della droga più potente del Messico, abbia utilizzato due chiese evangeliche per lavare il denaro proveniente dal narcotraffico.
La povertà come una benedizione
A Oaxaca, in Messico, ho conosciuto un ragazzo che gestisce una ristorante. Una persona squisita. Mi ha confidato che nella fede evangelica ha trovato la forza di finirla con un passato non proprio semplice e le sue parole erano sincere. Allo stesso tempo non posso non notare quanto, per lo meno in Guatemala, l’espansione delle congregazioni evangeliche sia direttamente proporzionale alla disaffezione verso la politica. Ho ascoltato con le mie orecchie pastori sconsigliare ai fedeli la partecipazione politica, rammentargli che la Nazione non si discute, va servita e basta e che la povertà, in fondo, è una benedizione divina.
Nelle comunità indigene le case sono fatte di tavole di legno e lamiere, l’energia elettrica non se la possono permettere, per illuminare i tuguri dove vivono utilizzano bottiglie di plastica piene di acqua con un po’ di cloro che piazzano in alcuni buchi fatti nelle lamiere. La luce del sole passa e arriva forte in casa, è una bella idea ma è triste sapere che spesso, a pochi metri di distanza, c’è una chiesa evangelica scintillante, in muratura, con un bagno vero per il pastore, non le latrine che scavano gli indigeni a pochi metri dalle loro abitazioni.
Entrando dal Belize in Guatemala è un susseguirsi di chiese protestanti intervallate da case fatiscenti. Chiesa evangelica, miseria; Assemblea di Dio, fogne a cielo aperto; Tempio pentecostale, bambini senza scarpe. A Città del Guatemala, sulla strada che porta a El Salvador, c’è il tempio della Casa de Dios, la chiesa fondata dal pastore Carlos Enrique Luna Lam, meglio noto come Cash Luna. Non è un pastore qualunque, è una star e il suo tempio è enorme, sembra uno stadio dell’Nba. Cash Luna ha oltre 6 milioni di followers su Facebook molti dei quali pensano che faccia miracoli.
Sono arrivato al tempio di buon mattino, sulla strada c’era un traffico infernale. Ho pensato che fosse solo per via delle migliaia di fedeli che stavano raggiungendo il tempio ma ad una decina di chilometri dalla chiesa avevano appena scoperto un paio di cadaveri gettati al lato della strada. Arrivato al tempio mi si è avvicinata una signora, aveva in braccio un bambino di un anno, l’età di Andrea, mio figlio. La mamma mi ha spiegato che il bambino soffriva di una rara malattia al cuore e mi ha chiesto di pregare per lui. Più tardi, durante la predica, Cash Luna l’ha fatta salire sul palco. Ha dato un abbraccio al bambino e ha detto: “Questo bambino mesi fa non poteva respirare senza una macchina, poi gli ho dato un paio di parole ed eccolo qui, grande è la potenza di Dio”. Dalla platea è partito un applauso fragoroso. Poco prima che Cash Luna iniziasse con maestria, tempi teatrali, proprietà di linguaggio, simpatia e con l’ausilio di strabilianti supporti audio-visivi ad ammaliare la platea, Marly De Armas, responsabile delle relazioni pubbliche di Casa de Dios, mi ha domandato via whatsapp se credessi in Dio. “Sono cristiano ma ho i miei dubbi” ho risposto io. “Glielo dico perché se non crede in Dio difficilmente capirà ciò che accade da noi”. Poi mi ha chiesto, con estrema gentilezza, di non fare foto e di non disturbare con domande i fedeli. “Che strano, mi avevate autorizzato”. “D’accordo però non le faccia durante il momento delle offerte”.
“Donate, anche con la carta di credito”
Le parole di Cash Luna ottenevano applausi, approvazione, pianti e risate. Dietro di me decine di giovani, ad occhi chiusi, proclamavano la grandezza di Dio. Alla mia destra una signora, vicina allo svenimento mistico, veniva sorretta da un uomo. Era una cerimonia evangelica ma sembrava un concerto di Michael Jackson. Prima della predica un gruppo musicale cantava canzoni pentecostali. Un vero show, i maxi-schermi più grandi che abbia mai visto passavano le immagini dei battesimi che proprio in quel momento si stavano svolgendo in un’enorme vasca dietro al palco. Poi è arrivato il pastore e ha iniziato a predicare. In un passaggio, piuttosto efficace, ha puntato il dito contro l’avarizia. Mentre Cash Luna parlava sui maxi-schermi spuntavano dei numeri. Erano associati alle centinaia di bambini che, proprio in quel momento, stavano giocando in due strutture nuovissime, complete di campi da calcio e da basket, al di fuori del tempio. I genitori che avevano in mano un bigliettino con quei numeri erano invitati a lasciare la cerimonia e a recarsi dai loro figli che magari stavano piangendo. Poi, magicamente, è iniziato il momento delle offerte e delle decime. Due lunghe code di fedeli con in mano le buste con denaro o assegni si sono create all’istante verso il palco. Sui maxi-schermi veniva proiettato un piccolo video sulle modalità di donare con la propria carta di credito. Poi il Pastore ha ringraziato i fedeli, Dio e ha invitato a servire la Nazione. Canti, balli, pubblicità di altri eventi della chiesa, réclame della prossima Cantera, il corso di formazione in amministrazione e in comunicazione evangelica che si terrà ad aprile del 2019 e via, chiuso il sipario. Migliaia di fedeli hanno fatto ritorno a casa, chi prendendo i bus organizzati dalla stessa chiesa, chi la propria auto. Prima però un passaggio nei bagni più puliti del Paese era d’obbligo. Sugli specchi c’era una scritta: “Gesù si riflette in te”.
Non devo aggiungere nulla a ciò che ho scritto. È quel che ho visto. Si tratta di affari di Dio o di affari e basta. Non di solo pane vive un uomo lo so, ma senza pane si muore e chi continua a privarlo alla popolazione guatemalteca ha un nome e un cognome che non si trova nella Bibbia.
•1 – Stati Uniti, i droni al posto dei rider
•2 – Tijuana, il mondo perduto nascosto dal muro
•3 – Il voto populista per non farsi ammazzare
•4 – La tragedia dei trattati di libero commercio
•5 – Guatemala, in viaggio con un guerrigliero
•6 – I nuovi schiavi delle palmeras