L’Italia è un paese avvelenato. Le comunità locali in trincea per difendere paesaggi, patrimoni, economie e tradizioni non si contano, gli esempi più significativi mediaticamente degli ultimi anni sono i No Tav in Piemonte e i No Tap in Puglia. Ma l’Italia è anche il paese delle “57 Ilva”, come questo giornale scriveva il 6 luglio 2014 riferendosi ai Sin (Siti d’interesse nazionale), di cui 18 declassificati a interesse regionale dal governo Monti: quel che rimane di mezzo secolo di industria chimica, petrolifera e metallurgica.
L’affermazione dei Verdi tedeschi con il 18% alle elezioni in Baviera mette il vento in poppa alle forze ambientaliste, indica una tendenza a nuovi linguaggi per la sinistra mentre i socialdemocratici perdono terreno in modo clamoroso, ma in Italia un’affermazione simile del “Sole che ride” – partito attivo tra mille battaglie dagli anni Ottanta – appare ancora pura utopia. Ma chissà, le strade della politica e del consenso sono spesso imprevedibili, quel che è certo è il “dossier ambiente malato” sul tavolo dell’Italia.
Assenza di depurazione delle acque in 74 città
Sulle nostre teste pesa la condanna della Corte europea di giustizia. La colpa fa rabbrividire: nell’anno di grazia 2018 non sono mai stati completati i lavori per fogne e depuratori in ben 74 città (48 solo nella martoriata Sicilia): assenza o insufficienza di sistemi di raccolta o di trattamento delle acque reflue urbane. La multa dello scorso maggio è salata, quantificata in 25 milioni di euro a cui vanno aggiunti 30 milioni per ogni sei mesi di ritardo dei lavori. Nei 74 agglomerati urbani interessati sono in corso o previsti 124 interventi per un importo complessivo di quasi 2 miliardi: 83 cantieri sono gestiti dal commissario unico alla depurazione, il professor Enrico Rolle, gli altri 41 da Comuni, Regioni, Consorzi e altri enti. Una giungla. Per poter vedere qualche risultato concreto bisognerà aspettare ancora mesi, forse anni, per adesso il problema rimane oltre i livelli di guardia.
Uso di pesticidi e fanghi con diossine
La polemica attuale verte su quella che proprio i Verdi hanno definito “scandalosa sanatoria di diossine”, rispetto a un ormai celebre emendamento (sui fanghi di depurazione) del decreto Genova. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha scritto in una lettera a questo giornale che, invece, sono stati così introdotti “limiti e controlli che prima non c’erano mentre la normativa fino ad oggi ha maglie talmente larghe da lasciar tutto alla discrezionalità delle Regioni”. Per i Verdi, però, “la direttiva europea e la legge sui fanghi non prevede limiti per diossine, Pcb e altri per il semplice motivo che i fanghi di depurazione sono relativi a quelli domestici e che i nostri bisogni non producono né diossine, né Pcb o idrocarburi. I microinquinanti si trovano perché nei depuratori va di tutto o quasi e per superare un’emergenza legata alla necessità di smaltire i fanghi si alzano all’inverosimile i limiti per consentirne lo smaltimento sui suoli agricoli. La legge e la direttiva europea prevedono che i fanghi non devono essere dannosi per l’ambiente, la salute e devono essere concimanti. Qualcuno può spiegare come possono essere concimate zucchine, melanzane e cavoli con le diossine?”.
Poi ci sono i pesticidi, il rapporto 2018 dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, un ente governativo, è allarmante: “Nel biennio 2015-2016 sono stati analizzati 35.353 campioni ed effettuate 1.966.912 analisi. Il monitoraggio evidenzia una presenza diffusa di pesticidi nelle acque, con un aumento delle sostanze trovate e delle aree interessate. Nel 2016, in particolare, ci sono pesticidi nel 67% dei punti delle acque superficiali e nel 33,5% di quelle sotterranee. Il risultato complessivo indica un’ampia diffusione della presenza e contaminazione da pesticidi. In alcune Regioni la presenza dei pesticidi è molto più diffusa del dato nazionale, arrivando a interessare oltre il 90% dei punti di acque superficiali in Friuli Venezia Giulia, provincia di Bolzano, Piemonte e Veneto, e più dell’80% dei punti in Emilia Romagna e Toscana. Supera il 70% in Lombardia e provincia di Trento. Nelle acque sotterranee la presenza di pesticidi è elevata in Friuli (81%), in Piemonte (66%) e in Sicilia (60%)”.
Smog e traffico auto: costi economici e sanitari
Il problema si presenta soprattutto d’inverno, come per magia l’Italia impegnata nei preparativi per le feste di Natale viene mangiata dallo smog. E via con i dati delle colonnine che schizzino verso l’alto in tutte le principali città. Anche quest’anno la tradizione sarà rispettata. A causa dello smog l’Agenzia europea dell’ambiente stimò a fine 2016 più di 84 mila vittime di malattie causate dall’inquinamento atmosferico delle città italiane, indicando la possibilità di 25 mila decessi l’anno in meno ma solo con la completa adesione ai limiti di legge previsti dalla normativa europea e nazionale. Il risultato sembra ancora lontano, le carenze delle amministrazioni cittadine rimangono troppe e tutto questo ha anche un costo pari a quasi 230 miliardi di euro di spese e di perdite per la collettività (il 14,6% del Pil italiano secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità).
L’altra Taranto: la ferriera di Trieste
Lo scandalo dell’Ilva di Taranto ha un gemello più a nord di cui si parla molto meno, la ferriera di Servola, a Trieste: ecatombe di operai tra 2000 e 2013 con 83 morti a causa del loro lavoro in fabbrica. Un mostro da più di 560 mila metri quadri con cokeria, due altiforni, impianto di agglomerazione e macchina a colare per la solidificazione della ghisa. Più volte tutte le forze politiche hanno promesso la chiusura dell’area a caldo, ma nessuno ha mai rispettato l’impegno, intanto una larga fetta di Trieste vive col terrore di ammalarsi perché qui resta elevata e preoccupante l’incidenza tumorale in chi abita a pochi passi dalla ferriera.
Bonifiche mai eseguite e chi inquina non paga
Amianto, piombo, petrolio, mercurio. Aree ex industriali infette mai bonificate con circa sei milioni di italiani che ci vivono vicino: rischio di mortalità maggiore del 15% rispetto alle medie regionali. Basta leggere i nomi di località e aree geografiche che ormai risultano sinistri: Porto Torres, Sulcis, Priolo, Cogoleto, comprensorio di Brescia-Caffaro, Bagnoli, laguna di Grado e Marano. Sono anni che il portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, ripete lo stesso ritornello inascoltato: “La portata del principio chi inquina paga è stata via via depotenziata dai vari governi, caricando sulla collettività spese che andrebbero sostenute da chi è responsabile del problema”. E nessuno fa marcia indietro. La “prescrizione economica” ha numeri imbarazzanti, denunciano i Verdi: “220 miliardi il danno ambientale provocato su 80 mila reati prescritti tra 2004 e 2013; 15 mila siti da bonificare e 10 mila morti in eccesso nelle aree Sin”.