Il complesso e arduo salvataggio dell’Alitalia entra nel vivo. Siamo, come si suol dire, alle battute finali per mettere nero su bianco l’interesse delle Ferrovie nell’ex compagnia di bandiera, secondo il piano studiato dal governo, o meglio dagli uomini del ministero dello Sviluppo economico guidato da Luigi Di Maio.
Ieri sera il cda dell’azienda dei treni guidata da Gianfranco Battisti ha vagliato l’offerta che sarà presentata mercoledì, ultimo giorno disponibile. Lo schema sarà in due tempi. Le Fs formalizzeranno ai commissari di Alitalia, da quasi due anni in amministrazione straordinaria, un’offerta sul 100% degli asset, destinati a confluire in un successivo momento in una nuova società (newco) scorporata dalle passività. Sarà “vincolante”, ma non troppo. Nel senso che sarà subordinata alla realizzazione del successivo step, cioè l’ingresso di altri “investitori istituzionali” e “privati”. Per i primi, risulta al Fatto, il ministero dello Sviluppo economico coltiva l’idea di far entrare le grandi partecipate pubbliche: sicuramente la Cassa Depositi Prestiti, ma l’ipotesi è di coinvolgere anche Poste, l’ex Finmeccanica (Leonardo) e l’Eni, che peraltro è il principale fornitore di carburante di Alitalia (voce che nel bilancio della compagnia vale almeno il 35% dei costi). Tra i secondi rientra invece una compagnia aerea, che si occuperà della parte gestionale. In corsa c’è ancora EasyJet, ma anche gli americani di Delta e i tedeschi di Lufthansa. Questi ultimi due sono più avanti nello studio del dossier e la scorsa settimana hanno di nuovo avuto accesso alla Data room (il presidente di Delta, Glen Hauenstein conosce il vettore italiano, di cui è stato direttore generale e commerciale durante l’era Mengozzi).
Insomma, le Fs faranno un’offerta ma la trattativa con i commissari proseguirà poi insieme agli attori interessati. O non se ne farà nulla. Le Ferrovie infatti hanno intenzione di diluire la quota di capitale il prima possibile (restano, insomma, concentrate sul loro core business, senza distogliere risorse dalle Frecce o dal trasporto regionale). La percentuale di capitale del vettore estero non sarà superiore al 49%, perché il governo vuole che la maggioranza resti in mani italiane. Probabile che alla fine della giostra l’azienda dei treni e le altre partecipate pubbliche deterranno una quota intorno al 60% del capitale, e il restante 40 andrà alla compagnia aerea straniera, che però avrà un peso rilevante nelle scelte manageriali. Al momento non sono note le cifre, ma alla newco serve un importante investimento finanziario per poter progettare un rilancio che punti sul lungo raggio. Si parla di almeno 1,5 miliardi.
Questo complesso schema serve al governo per evitare due grossi problemi nell’immediato. Il primo riguarda il prestito ponte pubblico da 900 milioni (800 di cassa più 100 di interessi da versare) che va restituito al governo entro metà dicembre, e che la Commissione Ue è pronta a bocciare come aiuto di Stato illegale. Presentarsi con un’offerta vincolante servirà a prendere tempo (a quanto filtra, Bruxelles non avrebbe chiuso la porta all’ipotesi nelle interlocuzioni informali avute finora). Il secondo è studiare un’ipotesi che non preveda gli esuberi corposi che sarebbero arrivati con le offerte “spezzatino”, avanzate nei mesi scorsi dai vettori che si erano mostrati interessati solo alla parte aerea a lungo raggio. Parte degli esuberi, sempre nelle intenzioni, dovrebbe essere assorbita dagli “investitori istituzionali”. Tutto questo senza che ci sia ancora un piano industriale per rilanciare l’ex compagnia di bandiera, ormai al suo terzo fallimento.