Su Ischia e i suoi abusi edilizi sta andando in scena il più grande festival dell’ipocrisia. Da sempre i suoi abitanti sono stati coperti nella loro iperattività costruttiva dall’abbraccio colluso della politica e persino in alcuni casi dall’occhio compassionevole della magistratura. Altrimenti non sarebbe stato possibile censire negli anni 28 mila abusi su una popolazione di poco superiore ai 60 mila abitanti. Significa che una famiglia su due ha infranto la legge e l’ha infranta anche ripetutamente per una sola ragione: l’economia turistica tira e ha bisogno di spazi sempre più coperti e sempre più attrezzati.
Sia il centrodestra che il centrosinistra hanno tentato nell’ultimo decennio di occultare questa realtà. Ma il vincolo di inedificabilità assoluta che subisce l’isola ha reso vano ogni tentativo. Il vincolo è giustificato dalle caratteristiche uniche del luogo e dalla particolare sua vulnerabilità, sismica e idrogeologica.
I Cinquestelle, con Luigi Di Maio, stanno ora ingenuamente tentando di sanare l’insanabile, regolarizzare ciò che non può essere.
Resta però la realtà: un terremoto si è verificato, molti cittadini sono divenuti senzatetto e ancora ospitati in alloggi di fortuna.
Se la politica decide di farla finita con l’ipocrisia, e i Cinquestelle decidono di farla finita con i condoni, una soluzione, magari parziale ma in qualche modo soddisfacente, può essere possibile e praticabile.
Anzitutto riducendo l’area del danno: ogni terremoto produce, insieme alle sue macerie, anche un simpatico filone di crepe fantasiose. Sappiamo che nell’isola il comune maggiormente se non esclusivamente colpito è quello di Casamicciola e solo su quel comune gli interventi finanziari dovrebbero essere destinati.
E sappiamo che i senzatetto sono prevalentemente inquilini di case fuorilegge. Non hanno dunque titolo al risarcimento, ma il costo sociale della loro condizione resta alto. La ricostruzione dovrebbe in questo caso non essere devoluta al singolo ma centralizzata dagli uffici pubblici ai quali dovrebbe essere concesso il potere di individuare nel piano urbanistico comunale l’area destinata a queste nuove costruzioni in modo da offrire, delocalizzandole, una casa a chi l’ha persa a un costo calmierato e con un pagamento dilazionato, come accade con i beneficiari dell’edilizia popolare. In cambio l’area di sedime su cui sorgono gli immobili abusivi di coloro che accettassero la sistemazione agevolata diverrebbe pubblica.
Niente condono, le aree a rischio restituite e risanate, e una casa sicura, non propriamente gratis però, a chi l’ha perduta. La giustizia farebbe il suo corso, e lo Stato confermerebbe di saper distinguere tra chi ha rispettato le regole e chi ha fatto della furbizia una regola.