La rete criminale arriva in Piemonte, Lombardia, Veneto, Campania (area domiziana), Sicilia (Palermo, in particolare). Regola i conti con pestaggi e aggressioni a colpi di machete, asce, coltelli, bottiglie rotte. Sembrano volgari risse da strade, ma dietro si nasconde una mafia globale, che dalla Nigeria si è sparsa in ottanta Paesi, secondo l’Fbi, conquistando spesso il primato nel traffico di droga – dall’eroina alla cocaina al crack –, nello sfruttamento della prostituzione e nelle truffe economiche, anche ai danni di grandi aziende. E se le gang originarie del Paese più popolato dell’Africa (oltre 190 milioni di abitanti) sono ormai da decenni all’attenzione delle polizie di mezzo mondo – inclusa la nostra Direzione investigativa antimafia che ne ha tracciato la mappa – fino a questo momento la criminalità organizzata nigeriana ha avuto vita abbastanza facile in patria. Forte, come ogni mafia che si rispetti, di salde protezioni politiche.
“Hanno persone ai massimi livelli governativi che li sostengono sistematicamente, così riescono a sfuggire alle indagini e alle pene più severe quando vengono arrestati”, spiega al Fatto Eric Dumo, reporter di The Punch, uno dei più importanti quotidiani della Nigeria. Anzi, “molti politici assoldano questi gruppi per attaccare gli oppositori, specie nelle competizioni elettorali per le cariche più importanti”, continua. “E anche i criminali trasferiti in altri Paesi hanno appoggi che rendono più difficile un contrasto efficace alla reale minaccia che rappresentano”.
La criminalità nigeriana è reputata la più potente di tutto il Continente nero, favorita da livelli di corruzione storicamente elevatissimi (nel 2006 la Nigeria’s Economic and Financial Crime Commission stimò che dal 1960 i governi avevano rubato o sprecato 380 miliardi di dollari) e da un boom petrolifero che ha finito per stimolare il crimine più che il benessere della popolazione, come spiega nei suoi scritti Stephen Ellis, scomparso africanista della Vrije Universiteit di Amsterdam. Sull’onda della forte emigrazione dal Paese depredato, dagli anni Ottanta in avanti, il crimine organizzato nigeriano si è globalizzato, un po’ come era accaduto in passato alle italiche Cosa Nostra e ’ndrangheta.
Nel mare magnum dei gruppi svettano i “culti”, eredi delle confraternite universitarie nate negli anni Settanta, spesso su base religiosa, in particolare evangelico-pentecostale, ma con istanze marxiste e anticolonialiste. Ispirati dall’incolpevole poeta premio Nobel Wole Soyinka, i culti si sono man mano convertiti al crimine, trasformandosi in scontri sanguinosi fuori e dentro gli atenei. Molti giovani laureati, senza alcuna speranza di trovare un impiego adeguato, sono passati direttamente dalle aule ai reati da colletti bianchi: per questa via la criminalità nigeriana ha acquisito un’indiscussa leadership mondiale nelle truffe economiche, le famose 419 scam, dall’articolo del codice penale nigeriano, il 419, che le punisce. Prima con lettere cartacee, poi con l’avvento di Internet attraverso email con promesse di guadagni milionari che a tutti è capitato di ricevere, e che generano profitti milionari sulla pelle di chi ci casca.
I culti più potenti sono “i Black Axe – conosciuto anche come Neo-Black Movement of Africa – e gli Eiye, insieme ai Buccaneers e i Pirates”, afferma ancora Eric Dumo (il poeta Soyinka era affascinato da L’Isola del tesoro di Robert Stevenson, da qui i tanti nomi pirateschi). “Poi dozzine a livello locale. Anche nel Delta del Niger (dove opera l’Eni, ndr) ci sono gruppi spietati come Dey Bam, Dey Well, Highlanders…”. Uno dei culti, a scanso di equivoci, si è battezzato semplicemente “Mafia”.
Proprio i Black Axe – fondati all’Università di Benin City nel 1977 e diffusi in tutta la Nigeria – e gli Eiye – originari del Sud-Ovest del Paese e presenti anche nella capitale Lagos – sono i gruppi attivi in Italia, e non da oggi. Le prime condanne per associazione mafiosa risalgono al 2009, a opera del Tribunale di Brescia. A farne le spese furono gli Eiye, accusati soprattutto di tratta di giovanissime connazionali da impiegare nella prostituzione di strada. L’Italia è stato il primo Paese al mondo in cui la mafia nigeriana, già dagli anni Ottanta, ha sperimentato questo business. Un business sulla pelle di ragazzine delle famiglie più povere, generalmente originarie dell’area di Benin City. Le indagini dimostrarono un ferreo controllo sulla locale comunità di immigrati e svelarono la guerra in corso tra i due principali “culti”. Una guerra che sulle strade di Torino andava in scena già dal 2003. Tirando i fili di diversi episodi, i carabinieri capirono che la posta in gioco era il controllo dello spaccio, della prostituzione e degli affari della comunità nella città sabauda. Anche in questo caso, nel 2010 arrivarono le condanne per 416 bis per ben 36 imputati, per lo più Eiye: “mafiosità” confermata in Cassazione. E non fa differenza – scrissero i giudici – se quei gruppi “non intendevano estendere le loro influenze ai cittadini italiani, ma semplicemente nell’ambito della comunità nigeriana”. Sono proprio i connazionali le prime vittime dei “culti”.
Già dai primi anni 2000, le indagini sulla tratta a Castel Volturno (Caserta) svelarono l’accordo con la camorra, che riceveva un fitto, detto joint, per ogni porzione di marciapiede occupata dalle ragazze. Più recente è invece l’alleanza a Palermo tra Cosa Nostra e Black Axe, come racconta l’articolo nella pagina che segue, e che ilfattoquotidiano.it svelò per primo nel 2015.
Eiye e Black Axe, scrive la Dia nell’ultima relazione, sono caratterizzati “da una rigida struttura verticistica”, con “capi internazionali, nazionali e locali” che gestiscono autonomamente le attività illecite sui propri territori mantenendo però “contatti operativi con le strutture madri presenti in Nigeria”.
A livello globale, la mafia nigeriana sta diventando una vera protagonista del traffico di droga, forte di una rete che va dal Sudafrica al Brasile, all’India, agli Stati Uniti. Passando per l’Europa. Proprio l’Italia, insieme a Spagna e Regno Unito, è fra i nodi più importanti.