Sette candele a terra, per disegnare una bara. Un tempio con al centro un’ascia e una coppa colma di liquido – una bevanda a base di droghe come erba, noce di cola, foglia di zobo, pepe di alligatore, panadol – che sarà bevuto, al cospetto del Priest, dai cosiddetti ignoranti. “Sono quelli che aspirano a essere affiliati. Vengono picchiati da quattro saggi che li frustano con il keboko, mentre percorrono in ginocchio un tragitto chiamato Slave Trade”, la tratta degli schiavi. Non è l’iniziazione a una loggia massonica. È il rito di affiliazione della mafia nigeriana. Un rituale antico ma che si ripete continuamente, in gran segreto. E non solo in Africa. A raccontare questo, come tanto altro, è Austine Johnbull: ed è il primo pentito della mafia nigeriana, in Italia.
Ha iniziato a collaborare con il pm di Palermo Gaspare Spedale alla fine del 2016: da allora ha riempito centinaia di pagine di verbali, che il nuovo Fq MillenniuM pubblica in esclusiva. Ha fatto nomi e cognomi. Ha indicato gli infami. Ha detto chi sono i capi e i sottocapi. Ha ricostruito riti d’affiliazione quasi mistici e più concreti affari di droga. Ha confessato di aver giurato sul suo stesso sangue, quello delle mani, che gli hanno inciso da palmo a palmo. “Se qualcuno nega le mie affermazioni, io posso guardargli le mani: se ha una linea, come la mia, sta mentendo”.
“Non voglio più essere contro lo Stato ed è meglio collaborare”: sono le prime parole pronunciate da quello che è diventato a tutti gli effetti il Tommaso Buscetta nero. Per spiegare l’importanza delle sue dichiarazioni – che hanno portato alle prime condanne emesse a Palermo per una mafia straniera – i giudici citano la descrizione che Giovanni Falcone fece del boss dei due mondi: “Un professore di lingue che ti permette di andare dai turchi senza parlare con i gesti”. Buscetta ha confermato l’esistenza di Cosa nostra, la sua composizione e il suo coinvolgimento dietro a mattanze e omicidi eccellenti. Johnbull ha spiegato che pestaggi e assassinii tra i suoi connazionali sono qualcosa di diverso da semplici risse finite male. Ha svelato che dalla Nigeria si sta espandendo in tutto il mondo una nuova mafia. Anzi più di una: c’è l’odiata Supreme Eiye , l’organizzazione più antica e più numerosa. Ci sono i Vikings. E poi c’è quella a cui apparteneva Johnbull: Black Axe, l’ascia nera, la più potente e pericolosa. “Per ognuno dei nostri che ammazzano, ci vendichiamo uccidendone 10-15 degli altri. Se ne assassinano uno in Nigeria, poi, è guerra totale”.
Per gli investigatori, si tratta di un’organizzazione “di tipo massonico e anche mafioso”, strutturata come “uno Stato confederato con ramificazioni in tutto il mondo”. Se agli inizi del Novecento Cosa Nostra e ’ndrangheta sono sbarcate negli Stati Uniti seguendo l’espansione di siciliani e calabresi, oggi anche la mafia nigeriana ha esteso i suoi tentacoli negli altri continenti parallelamente ai flussi migratori.
In Italia la Black Axe è presente da prima che Johnbull – nome in codice Ewosa, 34 anni – arrivasse da Benin City nel 2009. Ma in quegli anni dalla Nigeria era arrivato l’ordine di mettere “in sonno” l’organizzazione. Dopo le prime condanne emesse nel capoluogo piemontese a seguito di una serie di regolamenti di conti tra Black Axe ed Eye, “il presidente internazionale di Black Axe ha detto – racconta Johnbull – che quello che è successo al Nord, a Torino, a Padova, negli anni 2005-2006, non deve più esistere”. Questo almeno fino al 2010, quando entra in scena Sixco, nome di battaglia di Osalumaghal Uwagboe. Per Johnbull è lui il “Capo dei capi” della mafia nigeriana. Ed è lui che riorganizza Black Axe in Italia. È il 7 luglio 2013: a Verona, Sixco convoca la festa nazionale dell’organizzazione. “Lì c’era gente che arrivava da tutte le città”, dice il pentito. E a quel punto inizia la liturgia. Gli aspiranti Black Axe vengono picchiati, feriti, umiliati con uno sputo in faccia prima di presentarsi al cospetto del “Capo dei capi”. Ora non sono più uomini come gli altri: sono mafiosi, mafiosi nigeriani. Nel Paese inventore delle mafie.
L’articolo completo su FqMillenniuM in edicola da sabato 10 novembre