La Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato lascia a bocca asciutta il Tribunale di Roma. Che avrebbe voluto processare Maurizio Gasparri per gli epiteti da lui riservati allo scrittore Roberto Saviano. E invece no: l’organismo di Palazzo Madama, di cui lo stesso Gasparri è presidente, ha negato semaforo verde ai giudici della Capitale. Con l’eccezione dei senatori del Movimento 5 Stelle (e dell’ex presidente Pietro Grasso) che al momento del voto si sono trovati in minoranza: anche il Carroccio, così come il Pd, ha negato l’autorizzazione a procedere per l’esponente forzista. Scena destinata a ripetersi, probabilmente, prossima settimana. Quando si deciderà il caso di Cinzia Bonfrisco della Lega che il tribunale di Verona accusa di aver favorito con la sua attività da senatrice un imprenditore che, tra l’altro, le avrebbe pagato una vacanza in Sardegna.
Il rinnovato asse Lega-Forza Italia sulla giustizia ha intanto “graziato” Gasparri. Con buona pace di Saviano che lo ha denunciato lo scorso gennaio per tre cinguettii al vetriolo che avevano preso di mira la sua ospitata in tv nella trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio. Pure lui trattato non proprio con i guanti bianchi dal senatore. Ma che cosa aveva cinguettato il Nostro? Tra il 7 e l’8 ottobre 2017 si era infervorato non poco, per la verità. In un primo tweet Gasparri aveva scritto: “Ma @fabfazio che prende milioni dei cittadini, è un verme o ricorderà a #Saviano che è pregiudicato con condanna definitiva?”. E ancora: “Cambiare canale, evitare @fabfazio che fa parlare il pregiudicato #Saviano, discaricheRai #chetempochefa”. E infine, tanto per ribadire il concetto: “Lo strapagato @fabfazio ospita a #chetempochefa il pregiudicato #Saviano che ha subito una condanna definitiva in Cassazione #Rai approva?”.
Esternazioni che avevano naturalmente provocato la reazione di Saviano. Che nella sua querela aveva precisato non aver mai riportato condanne penali. Sentitosi diffamato per il termine “pregiudicato”, si era dunque rivolto alla magistratura. Che qualche mese fa ha chiesto l’autorizzazione a procedere al Senato per essere sicuri che nel caso in questione non si applicasse l’articolo 68 della Costituzione, secondo il quale i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni. Un’insindacabilità che per essere riconosciuta, anche per le dichiarazioni fatte per esempio sulla stampa o sui social, deve avere necessariamente “un nesso funzionale con l’esercizio del mandato parlamentare”. Nesso riconosciuto ieri dalla Giunta che dunque ha ritenuto Gasparri improcessabile. Pure se aveva sparato a pallettoni contro Saviano. Sui social, certo. Ma anche in un paio di interrogazioni parlamentari. “L’offensività o meno dell’espressione usata nei tweet è del tutto irrilevante ai fini delle valutazioni che la Giunta è demandata a compiere dovendo necessariamente essere circoscritto alla valutazione della circostanza se le dichiarazioni rese extra moenia (ossia fuori da Palazzo Madama, ndr) siano o meno correlate funzionalmente con l’attività parlamentare” ha sostenuto il relatore della pratica, ossia Giuseppe Cucca del Pd.
E poco importa se Saviano non sia “pregiudicato”. Gasparri sempre nella sua memoria difensiva ha dovuto ammettere che nel linguaggio corrente il termine viene riferito a un soggetto condannato definitivamente in sede penale. Ma “è altresì vero” – ha spiegato –, che il giudice civile ha condannato al risarcimento dei danni Saviano per le “copiature”, accertando “di fatto” l’esistenza del reato di plagio. Insomma, sempre secondo lui, l’uso che si può fare del termine, “pregiudicato”, rientra nell’ambito delle “opinioni lessicali”. Su cui, comunque, il Tribunale di Roma non potrà mettere becco.