Ieri gli eurogiudici hanno bocciato la decisione con cui la Commissione Ue ha permesso alle case automobilistiche di superare il limiti di emissione dei veicoli diesel previsti dalle norme Euro 6. La sentenza, che accoglie il ricorso presentato dalle città di Parigi, Bruxelles e Madrid lo scorso maggio, riapre il dossier Dieselgate che pareva essersi concluso col diktat delle lobby dei costruttori. Questi tuttavia potranno continuare a inquinare oltre misura ancora a lungo visto che la Corte ha concesso alla Commissione dodici mesi per adottare regole piu rispettose della salute.
I fatti. Lo scandalo Volkswagen nel 2015 aveva dimostrato come gli ossidi di azoto (Nox) emessi dai veicoli di tutte le case automobilistiche – responsabili di 75mila morti premature l’anno secondo l’Agenzia ambientale europea – fossero oltre la norma. Per porre fine alla frode, nel 2016 l’Ue ha deciso di sostituire gli obsoleti test in laboratorio con più accurati test di omologazione su strada. Tuttavia, sotto le pressioni dell’industria automobilistica e dei governi che la spalleggiano, la Commissione ha concesso una generosa deroga alle soglie che l’Europarlamento aveva stabilito nel 2007: è previsto che dal settembre 2017 le emissioni dei nuovi modelli di auto immessi sul mercato possano essere doppie rispetto al limite di 80 mg/km e che solo nel 2020 il margine di superamento si riduca al 50%. Solo nel 2019 e nel 2021, infine, tali soglie si estenderanno anche ai nuovi veicoli di modelli già esistenti che, intanto, inquinano come prima.
La decisione della Corte Ue segna un precedente storico: “Per troppo tempo le lobby industriali sono state in grado di dettare le regole – dice Anne Hidalgo, sindaco di Parigi – Oggi il Tribunale dell’Ue ha sostenuto la nostra tesi secondo cui si tratta di un tradimento dei cittadini europei”. La vittoria di principio è però indebolita nei fatti. La sentenza infatti stabilisce che la deroga ai limiti di legge continuerà ad applicarsi fino a nuove norme più “ecologiche”: “Lo status quo di 12 mesi prescritto dal tribunale mira a evitare un’incertezza giuridica che potrebbe screditare l’intera normativa sui test su strada”, spiega Ugo Taddei, avvocato dell’ong Client Earth. In realtà i tempi rischiano di allungarsi. La Commissione ha due mesi di tempo per impugnare la sentenza. Se lo fa, come probabile, il termine di dodici mesi decorrerebbe dalla data in cui la Corte rigettasse l’appello. La riforma quindi non entrerà presumibilmente in vigore prima di metà 2020 e non potrà essere retroattiva.