La manovra è in dirittura d’arrivo, ma da festeggiare c’è poco: la retromarcia sul deficit e i tagli e le tasse imposte dall’Ue per il prossimo triennio non sono un buon viatico per un sereno Natale. E allora oggi in Consiglio dei ministri arriva la bozza delle autonomie regionali per Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna: la Lega ha bisogno di portare a casa qualcosa da vendere al suo bacino elettorale e ai suoi nervosi amministratori locali. Non è un caso, dunque, che sia stato proprio Matteo Salvini ieri a dare la “notizia”: “L’autonomia arriva in Consiglio dei ministri a ore.”
I governatori delle tre Regioni più ricche del Paese (due della Lega e uno del Pd) già ieri festeggiavano l’annuncio. Il veneto Luca Zaia non risparmia in retorica: “Si sta scrivendo una pagina di storia del Veneto e di questo Paese: questo governo verrà ricordato come il governo della vera riforma storica”. Attilio Fontana, da buon lombardo, va di fretta: “Io penso che sarà un percorso non lunghissimo”. Per Salvini, invece, “l’auspicio è che ci sia un modello fondato sulle autonomie e sul merito che permetta per esempio ai cittadini di curarsi a Palermo o a Lamezia Terme senza fare i viaggi della speranza”, un modello che è “un’idea di Paese rispettoso delle sue identità che premia chi merita e chi meriterà”.
Il merito, però, è un concetto scivoloso e che prevederebbe, in astratto, che chi non merita poi non potrà curarsi o potrà farlo peggio di ora. Cosa succederà di preciso, in realtà, nessuno lo sa perché nessuno ha visto cosa hanno pattuito la ministra competente, cioè la leghista Erika Stefani, e le sue controparti regionali: quattro giorni fa, però, la stessa Stefani faceva sapere che i ministeri di Salute, Ambiente, Giustizia, Sviluppo e Lavoro – tutti grillini – non avevano risposto alla sua richiesta di collaborare; evidentemente lo hanno fatto in gran fretta questa settimana, nonostante la manovra, tanto è vero che oggi si va in Consiglio dei ministri per la prima discussione sull’autonomia. O più probabilmente, come spiegano al Fatto fonti di governo, non c’è alcun testo pronto e si va in Cdm solo per avere qualcosa da rivendersi nei prossimi giorni: i grillini punteranno sull’anti-corruzione, i leghisti sull’autonomia.
Quanto al M5S sulla “secessione dolce” rischia assai: per ora festeggia in Veneto e Lombardia, fischietta a Roma, prega e spera nel Mezzogiorno, ma i suoi spazi di manovra sul tema sono esauriti, come ha chiarito ieri il sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti: “Ora va in Consiglio dei ministri la bozza di autonomia di Lombardia e Veneto e per noi è questione di esistenza del governo stesso. Come noi votiamo il reddito di cittadinanza, da loro ci aspettiamo che votino questa norma”. Partito avvisato, mezzo salvato: tanto più che il Parlamento potrà solo dire sì o no a maggioranza assoluta, ma non entrare nel merito o emendare.
Ma di cosa si parla? Dato per scontato che non si conoscono i dettagli del testo, cioè quei piccoli posti in cui s’annida il diavolo, si può dire questo: le tre Regioni, due dopo un referendum consultivo, hanno chiesto allo Stato maggiori poteri, come le autorizza a fare per 23 materie l’articolo 116 della Costituzione nella pessima versione voluta dal centrosinistra nel 2001. Cosette come scuola, sanità, infrastrutture, beni culturali, persino la previdenza complementare. Le Regioni per occuparsi di queste materie chiedono però, in prospettiva, anche più soldi di quanti ne spendano attualmente: il Veneto ha addirittura ipotizzato di parametrare i trasferimenti dallo Stato centrale al gettito fiscale.
Il tentativo, insomma, è tenersi più soldi a danno dei trasferimenti perequativi con cui lo Stato finanzia i territori più poveri (consentendo, tra le altre cose, alle imprese delle zone più dinamiche di venderci i loro prodotti): per questo i critici la chiamano “la secessione dei ricchi”. La nuova Lega sarà pure nazionale, ma rischia di fare più danni ora che con la devolution di Bossi.