La perdita dell’innocenza del M5S va in scena alla conferenza stampa del premier Giuseppe Conte, venerdì 21, a Palazzo Chigi. Con a fianco Matteo Salvini, Conte proclama: “È stato compiuto un passaggio importante molto significativo dal punto di vista politico”. Conte ha ragione. Solo che il passaggio non è la maggiore autonomia concessa alle Regioni (argomento della conferenza) ma il mutato atteggiamento del M5S nei confronti dell’Eni e più in generale degli scandali che riguardano società pubbliche.
Il 12 settembre 2014, l’allora deputato Alessandro Di Battista scrive un post: “Il M5S condanna la scelta di Claudio Descalzi perché rappresenta la continuità con la scelta berlusconiana di Paolo Scaroni. Nel luglio 2014 finisce nel registro degli indagati l’Eni per corruzione internazionale. Ecco a voi lo scandalo Opl245 (…) il M5S chiede di nuovo le dimissioni di Descalzi perché lo ritiene coinvolto nell’inchiesta (dal punto di vista operativo e morale, non giuridico). L’11 settembre 2014 Descalzi, Scaroni e Luigi Bisignani finiscono nel registro degli indagati per una maxi-tangente per la concessione Opl245. Matteo Renzi difende Descalzi: “lo risceglierei”. Questi sono fatti nudi e crudi. Che Italia volete? (…) La questione non è politica ma morale. A riveder le stelle!”.
Dopo quel post, Descalzi è stato confermato dal governo Conte anche dopo che i giornali hanno pubblicato notizie importanti sulla moglie dell’amministratore dell’Eni, Madeleine Ingoba. Secondo i Panama Papers pubblicati da L’espresso la società Petro Service Congo, che aveva rapporti commerciali con Eni, era domiciliata a Point Noire, presso la stessa casella postale dove era domiciliata la Elengui Ltd, società offshore di Marie Magdalene Ingoba.
Venerdì il Corriere ha aggiunto che la Procura di Milano ha chiesto a Eni i contratti con Petro Service Congo e un’altra decina di società, tutte possedute dalla olandese Petro Serve Holding BV. Per i pm “evidenze investigative” mostrano che la società olandese è posseduta a sua volta da una lussemburghese, la Cardon Investments Sa, che ha come beneficiario Alexander Haley. Il manager beneficiario della Petro Service però secondo l’ipotesi dei pm “l’8 aprile 2014 ha comprato le quote della Cardon Investments Sa dalla signora Descalzi”.
Il punto politico quindi è che il gruppo Petro Service, che faceva capo fino al 2014 alla moglie di Descalzi, avrebbe affittato navi e logistica dal 2012 al 2017 per 105 milioni di dollari al gruppo Eni del quale Descalzi era numero due fino al 2014 e oggi è numero uno. La moglie di Descalzi nega tutto. Eni fa sapere che sta facendo verifiche interne. E il governo? E il M5S? E Di Battista?
Il caso Eni certifica la mutazione genetica del M5S. Quando Descalzi non era nemmeno indagato e sugli affari della moglie non era uscito nulla, Di Battista chiedeva le dimissioni. Ora preferisce il silenzio. Il Fatto non ha cambiato idea. Come con Renzi, ieri ha chiesto in conferenza stampa al presidente del Consiglio Conte cosa intenda fare di fronte alle notizie del Corriere su Lady Descalzi. La risposta è davvero imbarazzante per il M5S. Al nostro Manolo Lanaro, Conte replica: “Lei mi parla di vicende personali della moglie di Claudio Descalzi, io credo che la responsabilità penale sia personale e fino a quando non verranno accertati fatti penalmente rilevanti nei confronti dell’amministratore dell’Eni, Descalzi avrà la mia fiducia”. Conte confonde la responsabilità penale con quella politica e il conflitto di interessi con i reati. Descalzi si deve dimettere perché si sospetta che la sua azienda abbia pagato dal 2012 al 2017 ben 105 milioni di dollari a un gruppo che era controllato – secondo atti pubblicati dal Corriere ma smentiti dalla moglie – fino al 2014 dalla signora Descalzi. Non sappiamo se questo sia vero, ma sostenere che sia una questione personale della signora Descalzi è una boiata pazzesca.