Shuogi Alsadg Isahag aveva 11 anni. Da quando il caro vita in Sudan ha portato al di sotto del livello di povertà gran parte della popolazione, scatenando una rivolta con oltre 40 morti e centinaia di arresti, non andava più a scuola. Doveva lavorare per aiutare la famiglia a sopravvivere.
Venerdì scorso, insieme a centinaia di persone stava partecipando a un corteo nel centro di Gedaref, Sudan orientale, per manifestare contro le politiche del governo e chiedere le dimissioni del presidente Omar Hassan al Bashir. Un proiettile ha stroncato la sua esistenza facendo di lui il più giovane ‘martire’ della repressione violenta delle manifestazioni antigovernative.
l Sudan è alle prese da anni con una forte crisi economica dovuta a un’inflazione record, alla carenza di valuta forte e ai bassi livelli di liquidità delle banche commerciali. Il governo ha per questo deciso di adottare misure di austerity. “Nell’ultimo periodo, la vita è diventata sempre più difficile – racconta Adam BoshNur, portavoce della comunità dei sudanesi in Italia – scarseggiano i beni di prima necessità, i servizi educativi e sanitari sono ormai appannaggio dei soli ricchi”.
L’aggravarsi della situazione ha spinto esponenti dell’opposizione e attivisti ma anche migliaia di semplici cittadini a organizzare dimostrazioni pacifiche in molte città del Paese. “Vogliamo denunciare le ingiustizie, le guerre civili che hanno portato alla secessione del Sudan meridionale e il furto di denaro pubblico da parte dei membri del governo” continua Nur. “La politica di Bashir ha fatto crollare la nostra economia. Ma tutto ciò non è stato sufficiente. Ora stanno reprimendo con inaudita violenza le manifestazioni di cittadini disarmati”.
Le autorità sudanesi hanno ammesso che nei disordini sono stati uccisi otto manifestanti, ma per il principale leader dell’opposizione, Sadiq al-Mahdi, rientrato in questi giorni dall’esilio, il bilancio è molto più grave e il responsabile dello spargimento di sangue è il presidente Bashir.
Anche Amnesty International denuncia che a ordinare alle forze di sicurezza di fermare “a ogni costo” i dimostranti sia stato proprio lui, l’ex generale arrivato al potere con un golpe nel 1989 e accusato dalla Corte penale internazionale di crimini di guerra e contro l’umanità, oltre che di genocidio, per il conflitto in Darfur.
Gli scontri, seppur sporadici, erano iniziati già da settimane e la polizia aveva già disperso con la forza vari presidi ferendo a morte una decina di giovani nei pressi dell’Università di Omdurman, città gemella della capitale Khartoum. “Il fatto che stiano utilizzando armi letali in modo indiscriminato contro i manifestanti disarmati è estremamente preoccupante – ha affermato Sarah Jackson, direttore di Amnesty per l’Africa orientale, i Grandi Laghi e il Corno d’Africa. “Il governo deve frenare questo uso mortale della forza e prevenire ulteriori vittime” il suo appello.
Richiesta che si è levata alta anche dai rappresentanti della diaspora che hanno promosso diversi sit-in davanti alle ambasciate del Sudan, da Washington a Londra, da Parigi a Roma.