“La Bce ha chiesto un’alleanza, Carige ha bisogno di un aiuto, di consolidarsi, di rafforzarsi. Il capitalismo familiare italiano è fallito”. All’assemblea Carige di settembre Guido Alpa intervenne per sostenere la lista Pop12 guidata dal finanziere d’assalto Raffaele Mincione, da Gabriele Volpi (diventato miliardario con il petrolio nigeriano e indagato dalla Procura di Genova in un’inchiesta per evasione fiscale) e da Aldo Spinelli, terminalista genovese già legato al centrosinistra e oggi passato con il governatore Giovanni Toti. Un intervento pesante: Alpa oltre a essere un noto professore di diritto è il nume tutelare di Giuseppe Conte. E Alpa già in passato ha ricoperto ruoli di spicco nella banca genovese: sedeva (anche ai tempi di Giovanni Berneschi che, però, contribuì a destituire) nei cda di banca, Fondazione e assicurazioni controllate.
Seguire la linea Bce, portare Carige verso una fusione o, più probabilmente, un’incorporazione (Unicredit?) e sottrarla ai principali azionisti, cioè la famiglia Malacalza (27%): a settembre la versione di Alpa venne bocciata in assemblea. Ma oggi pare prevalere. Suscitando le critiche dell’opposizione sull’affacciarsi del potere pentastellato nelle vicende bancarie. Un ricorrere di nomi che qualcuno aveva già notato quando a giugno emerse un’intercettazione dell’inchiesta sullo stadio della Roma: il costruttore Luca Parnasi parlava con l’allora ad di Carige (Paolo Fiorentino, sostenuto da Alpa, nessuno dei due è indagato) chiedendo che la banca concedesse una consulenza a Luca Lanzalone, avvocato genovese vicino alla giunta di Virginia Raggi. Non se ne fece nulla, così come venne stoppato il finanziamento a Parnasi (arrestato in quelle ore).
Oggi il Pd punta il dito contro Alpa e Conte. Ma nella vicenda Carige nessuno può scagliare la prima pietra. Non il Pd o il centrodestra, né la Curia di Angelo Bagnasco. Accanto a Berneschi si sono avvicendati tutti: dal fratello di Claudio Scajola, Alessandro, che aveva anche il consuocero nella Fondazione. In quest’ultima c’era Flavio Repetto, industriale fedele ai cardinali Tarcisio Bertone e Angelo Bagnasco. Vicepresidente della Fondazione era Pierluigi Vinai, scajoliano (poi renziano) e sostenuto dalla Curia. C’era anche Luca Bonsignore, figlio dell’europarlamentare Vito (Udc poi Pdl). Il Pd aveva piazzato ex assessori trombati. L’allora governatore Claudio Burlando (Pd) aveva offerto un posto in fondazione alla Curia.
E dalla banca uscirono centinaia di milioni per finanziare progetti sponsorizzati dalla politica. Come Erzelli che richiese ben 250 milioni. Parliamo della collina sopra l’aeroporto che doveva diventare polo tecnologico. Un’operazione voluta dal centrosinistra, a cominciare dall’allora presidente Giorgio Napolitano. È andata diversamente: i cantieri per realizzare centinaia di migliaia di metri cubi arrancano da anni e la cubatura residenziale è aumentata. Per puntellare il progetto privato si prevedono centinaia di milioni (c’è chi dice 300) pubblici: arriveranno l’università e un ospedale. Un’emorragia per le casse Carige. Non è stata la sola. C’è anche la vicenda di Andrea Nucera. Le sue società ricevettero da Carisa (Cassa di Risparmio di Savona) e dalla controllante Carige finanziamenti per 70 milioni. Ne è nata un’inchiesta dei pm di Savona: Nucera è latitante a Dubai con la moglie. I maligni ricordano che tra il 2006 e il 2013 nel cda Carisa sedeva Franco Vazio, poi diventato onorevole Pd, che in passato è stato avvocato della moglie di Nucera. “Ho dismesso l’incarico e non ho avuto ruolo nella concessione dei finanziamenti”, giura Vazio, mai toccato dall’inchiesta. L’avvocato storico di Andrea Nucera in passato fu Enrico Nan – prima onorevole del centrodestra, poi Futuro e Libertà e infine uscito di scena – che è stato vicepresidente di Carisa.