I protagonisti dei soccorsi furono intercettati proprio nelle ore della tragedia. Eppure quelle intercettazioni – che potevano essere utili alle indagini – restarono in un cassetto per ben 8 mesi. Un’informativa dei carabinieri del Noe di 34 pagine più 30 allegati, finì relegata al cosiddetto modello 45, ovvero un fascicolo senza indagati né ipotesi di reato. In quel documento, gli investigatori segnalavano alla Procura di L’Aquila, che correttamente inviò poi a quella di Pescara, una “sequenza di contatti” di “particolare interesse investigativo”: denunciavano la “sottovalutazione dell’emergenza”, il “mancato coordinamento delle operazioni di soccorso alla popolazione” e, soprattutto, i “criteri utilizzati per la distribuzione di mezzi idonei per liberare la strada dalla neve”. Un’accusa grave: a giudicare dalle intercettazioni – segnalava il Noe – i criteri non parevano “correlati alle effettive emergenze”. Ma se la distribuzione delle turbine non era collegata alle “effettive emergenze”, quale fu il criterio seguito in quelle ore? Riepiloghiamo quel che accadde a Farindola e a Rigopiano in quei giorni. Nel gennaio 2017, delle due turbine presenti nella zona di Rigopiano, ne è rimasta soltanto una. La settimana prima della tragedia si rompe anche quella: la riparazione costa troppo, la Provincia sceglie di cercare un altro preventivo. Nel frattempo, il 16 gennaio, abbiamo due turbine funzionanti sulla Maiella. La sera del 17 alle 19.32 il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, scrive all’allora governatore Luciano D’Alfonso, che sta gestendo la distribuzione delle turbine, spiegando che, dei 6 mezzi spazzaneve comunali, 3 non possono operare. E chiede uno “sgombraneve”. Il 17, Farindola resta isolata. Lacchetta chiede una turbina anche al presidente della Provincia, Antonio Di Marco. Ma la turbina non arriva. La mattina del 18 gli operatori riescono ad arrivare fino al bivio con Rigopiano, ma la strada è bloccata e non possono proseguire. Viene individuata un’altra turbina a cento chilometri, ma non c’è chi la guida. Altre turbine però vengono inviate nel frattempo sulla Maiella e su Atri. Fino alle 15.30 del 18 gennaio non è stato ancora implementato il coordinamento regionale previsto dalla Protezione civile.
In un’altra indagine del Noe, spunta una telefonata sulla gestione di quelle ore – Nelle stesse ore il Noe intercetta, per un’altra inchiesta, chi sta coadiuvando D’Alfonso in questo frenetico “giro” di turbine: è il suo braccio destro Claudio Ruffini. Il 18 gennaio, alle 23.31, viene intercettato mentre contatta il dirigente dell’Anas Sandro Sellecchia. L’intercettazione non riguarda direttamente Rigopiano. Ma racconta la gestione di quelle ore. C’è una turbina che da Campobasso sta andando verso il Comune di Bolognano. Ma Sellecchia dice che serve in un altro posto, a Ortolano, perché c’è stata una slavina, e qualcuno rischia la vita: “Abbiamo avuto un’emergenza, c’è gente sotto una slavina”. Ruffini spiega che decide tutto D’Alfonso – “non se ne frega niente D’Alfonso, queste sono le sue disposizioni…” – e polemizza con Sellecchia che gli risponde: “Se diamo tutti di matto i problemi non li risolviamo… io capisco l’aspetto politico…”. Segno che, per Sellecchia, c’è una gestione “politica” nella distribuzione delle turbine. “D’Alfonso – scrive il Noe – già prima di aver convocato il C.o.r. (Comitato operativo regionale di protezione civile) ha delegato Claudio Ruffini alla gestione dei mezzi spazzaneve e delle cosiddette ‘turbine’”. I carabinieri riscontrano “numerose e gravissime interferenze e incomprensioni causate proprio da Ruffini e dalle spesso confliggenti disposizioni date in ordine alla gestione dei mezzi”. Eppure queste intercettazioni non entreranno subito nel fascicolo d’inchiesta. Anzi. L’informativa sarà oggetto d’indagine solo nel settembre 2017, e senza produrre comunque effetti sulla posizione investigativa su D’Alfonso: la Procura chiederà infatti la sua archiviazione (mentre Ruffini non è mai stato indagato).
Il 10 febbraio 2017, il sostituto procuratore di L’Aquila Antonietta Picardi, ricevuta dal Noe l’informativa in questione, la invia alla collega Cristina Tedeschini, procuratore capo a Pescara: “Trasmetto – le scrive – per le valutazioni di sua competenza i due modelli 45 inerenti l’emergenza sisma e maltempo del gennaio 2017”. E delega il Noe per la consegna. La Procura di Pescara non ritiene che gli atti in questione – incluse le 30 intercettazioni allegate – debbano essere oggetto di approfondimento. Vengono così relegate in un fascicolo senza indagati né ipotesi di reato. E lì restano finché la difesa del sindaco di Farindola, che viene a scoprirne l’esistenza, non chiede di conoscerne il contenuto. È a quel punto – 7 mesi dopo – che l’informativa entra nel fascicolo principale e il nuovo procuratore di Pescara, Massimiliano Serpi, con il suo sostituto Andrea Papalia, li invia al Gruppo carabinieri forestale di Pescara, che sta svolgendo le indagini.
La procura chiede “approfondimenti investigativi” e di “individuare gli interlocutori e contestualizzare le conversazioni”. Il gruppo carabinieri forestale convoca Ruffini, l’11 luglio 2018, per chiedergli conto di due telefonate intercettate dal Noe: “Nei giorni dell’emergenza neve – esordisce Ruffini – il mio ruolo non era gestionale o operativo. Acquisivo e trasmettevo esclusivamente informazioni al Presidente. Mi fu chiesto dal presidente di trovare delle turbine. Telefonai all’Anas, a Strade dei Parchi e Autostrade d’Italia, perché sapevo che questi mezzi li avevano. Non ricevetti un riscontro soddisfacente alla mia richiesta”. “D’Alfonso – chiedono gli investigatori – ebbe a ricevere comunicazioni sull’isolamento di Rigopiano?”. “Non sentii mai parlare in quei giorni di Rigopiano”, risponde, “quindi credo che non ne sapesse nulla”. Non gli viene chiesto il senso, però, di un’altra telefonata, quella in cui parla con il dirigente dell’Anas Sellecchia. “Ascoltami – dice Sellecchia – abbiamo avuto un’emergenza, c’è gente sotto a una slavina!”. Ruffini risponde: “Non se ne frega niente D’Alfonso! Queste sono le disposizioni! È un problema di D’Alfonso, non è un problema vostro! E né della sala operativa…”. E ancora: “Ma di quale slavina parli tu?”. Sellecchia: “C’è la slavina a Ortolano!”. Sul punto Ruffini è stato invece sentito nelle indagini difensive degli avvocati Cristiana Valentini, Goffredo Tatozzi e Massimo Manieri: “Su ordine di D’Alfonso mi stavo accertando che l’Anas avesse inviato la turbina disponibile in Val Fino, dove, secondo le indicazioni del presidente, era destinata. La mia irritazione era legata al fatto che invece l’Anas l’aveva destinata a Ortolano perché, a quanto pare, c’era un’’emergenza che io ignoravo. Ricevevo ordini da D’Alfonso che non potevano essere discussi”.
Non sappiamo se una diversa organizzazione dei soccorsi avrebbe consentito al Comune di Farindola di ottenere in tempi più rapidi una turbina e di evitare quindi la tragedia dell’hotel Rigopiano. Dobbiamo anzi ricordare che la Procura ha chiesto per D’Alfonso l’archiviazione e, quindi, deve essersi fatta un’idea contraria. Anche alla luce della informativa del Noe acquisita nel settembre 2017. Resta il fatto però che Ruffini, con nessuna esperienza nel campo della protezione civile, era il braccio destro di D’Alfonso nella ricerca delle turbine. Eppure non era al corrente di quel che accadeva a Rigopiano, né a suo avviso lo era il governatore, e della slavina di Ortolano. La difesa del sindaco di Farindola ha chiesto l’imputazione coatta di D’Alfonso e la prosecuzione delle indagini: se dovrà essere indagato, anche alla luce di questi atti, lo deciderà il gip.